giovedì, dicembre 27, 2007

Odio le discoteche

Sì, lo ammetto, odio le discoteche. Ma non è quell’odio che si prova nei confronti di una cosa che non ti piace, bensì l’odio che si prova nei confronti di una cosa che ti fa stare male.
Tutto ebbe inizio parecchi anni fa, quando ancora “lungo la speme e breve ha la memoria il corso”, ovvero quando ero assai più giovane di adesso. I miei cugini mi avevano invitato a ballare in discoteca ed io, lusingata per l’invito, accettai. Il problema principale era come vestirsi. Non essendo a conoscenza degli usi e dei costumi del luogo, misi quello che allora ritenevo l’abbigliamento più elegante in mio possesso (che qui eviterò di descrivere perché farebbe troppo ridere!). superato questo primo empasse subentrava un altro problema: risultare disinvolta e sciolta in pista. Mi avevano sempre detto di non pensare a queste cose, che ognuno pensa solo a divertirsi e che non va mica a guardare che cosa fanno gli altri, e così mi lanciai in pista, cercando di essere il più naturale possibile. Ma come si fa ad essere naturale quando si cerca di imitare i movimenti degli altri?
Comunque la serata trascorse così, in pista, a ballare tutto il tempo, fino a che mi accorsi di una cosa che mi lasciò profondamente atterrita. Mentre tutti gli altri si lasciavano andare e sembravano divertirsi come non mai, la mia mente continuava a frullare pensieri su pensieri, che si accatastavano l’uno sull’altro senza lasciare nessuno spazio per il divertimento. Fino ad arrivare all’apice degli apici, ovvero domandarsi perché gli altri di divertono ed io no. C’è qualcosa di sbagliato in me? Perché non sono come tutti gli altri? Perché non sono capace di lasciarmi andare?
Me ne tornai a casa con un velo di tristezza che fino a quel momento sconoscevo e per tutta la notte non riuscì a prendere sonno perché disturbata dal ronzio della musica che ancora mi era rimasta appiccicata alle orecchie.
Da allora tutte le volte in cui mi trovo in un luogo chiuso, affollato e con la musica ad alto volume avverto un senso di smarrimento, vertigini, difficoltà respiratorie e un impellente bisogno di spazi aperti e arieggiati. Inutile dire che da quel giorno non ho più messo piede in una discoteca, anche se è capitato parecchie volte di stare in luoghi chiusi, affollati e rumorosi. Penso che il disagio dipenda anche dal fatto che soffro di claustrofobia, però adesso che siamo in prossimità del capodanno e tutti vogliono passarlo in discoteca a ballare fino all’alba, io non ho alcuna intenzione di farmi gratuitamente del male (anzi di pagare un sacco di soldi per ledere la mia integrità fisica e morale!).
Voglio un capodanno tranquillo. Sono anormale????

mercoledì, dicembre 05, 2007

La guerra di Troia - capitolo 7 - Il rapimento di Elena

La vita a Troia era una vera pacchia per Paride: palazzi enormi, abiti elegantissimi, gioielli lussuosissimi, feste, banchetti, donne bellissime… Insomma, tutto era un superlativo assoluto, tutto era magnificente, tutto era fantastico. Che cosa si poteva volere di più dalla vita? Gli anni passati sul monte Ida erano ormai diventati un’immagine sbiadita nella memoria e ben presto anche il ricordo della moglie Enone finì per affievolirsi fino a sparire del tutto. Ma dopotutto che cosa doveva fare? Prendere Enone e portarla a palazzo, presentarla a tutti come sua moglie e farla vivere come una principessa? Suvvia, non diciamo baggianate. Enone era una povera pastorella, carina sì, anche molto dolce e premurosa, ma non ne sapeva niente di come si viveva a palazzo. Avrebbe dovuto imparare a comportarsi e a parlare bene, avrebbe dovuto faticare parecchio per farsi accettare dai suoceri e dai cognati, avrebbe dovuto cambiare completamente il suo modo di comportarsi e di relazionarsi con gli altri. E poi Enone si sarebbe annoiata, lei che amava vivere tra i boschi, lei che amava stare in mezzo alla natura. Meglio lasciarla perdere, meglio dimenticarla e dedicarsi alla sua nuova vita. Infondo lo faceva anche per lei.

E poi c’era un pensiero fisso che assillava Paride senza lasciarlo in pace: Elena, la donna più bella del mondo, che gli era stata promessa in sposa da Afrodite, dea della bellezza e dell’amore. Ma chi era Elena, cosa faceva, dove viveva, con chi stava e come era fatta? Di lei non sapeva nulla, a parte il fatto che tutti gli uomini si innamoravano perdutamente di lei al primo sguardo. Come fare ad incontrarla e portarla via con sé?

L’occasione gli venne fornita durante un viaggio-missione per mare, quando venne a sapere che Elena viveva a Sparta ed era sposata con il re Menelao. Accecato dalla passione e senza un piano ben preciso Paride decise di fare una capatina a Sparta per vedere come era la situazione. Menelao, che era un uomo mite, ingenuo ed ospitale, accolse il principe troiano direttamente a casa sua, gli offrì la sua ospitalità, gli offrì cibo e vino, gli offrì la sua compagnia per lunghe ed interessanti chiacchierate, ma di certo non aveva alcuna intenzione di offrirgli anche la bellissima moglie! Tuttavia commise l’errore più grande che un uomo possa commettere: partì per questioni di lavoro lasciando la moglie da sola a casa. Elena, dal canto suo, era molto delusa dal suo matrimonio. Quando si trattava di conquistarla Menelao aveva fatto pazzie per lei, era stato premuroso, affettuoso, sempre presente, ma ora che erano sposati, il re di Sparta era sempre impegnato in altre faccende e non aveva mai tempo per lei. Non le regalava più fiori, non scriveva più poesie, non faceva sforzo alcuno per passare un po’ più tempo con lei, non era più gentile e garbato… Forse perché dava per scontato la sua presenza e quindi preferiva dare priorità ad altre faccende più importanti? Atteggiamento tipico di ogni uomo! Sta di fatto che Elena si sentiva molto molto molto insoddisfatta.

Sì è vero, c’erano le sue ancelle a farle compagnia e c’erano i figli da accudire, ma nella sua vita mancava qualcosa: la passione, quel fuoco che si accende dentro e che brucia ogni cosa, quel desiderio ardente che ti spacca in due e ti offusca la mente. Non ne poteva più di quella monotonia, di quel grigiore, di quella quotidianità fatta di giornate sempre uguali e di una totale mancanza di sussulti. Si era appellata con tutte le forze per trattenere il marito da questo ennesimo viaggio, convincerlo a fare insieme qualcosa di diverso, ma il marito le aveva assicurato, come tante altre volte in passato, che avrebbero parlato al suo ritorno. Non sapeva che al suo ritorno sarebbe stato troppo tardi.

Per consolarsi della partenza Elena si recò ad Afroditia, città che in quei giorni era adornata a festa in onore alla dea Afrodite. E proprio mentre si trovava nel tempio a pregare e a chiedere lumi sulla sua situazione emotiva, chi ti spunta all’improvviso come un messaggio divino? Paride, il più bello dei principi troiani che, incredulo di fronte all’opportunità che l’ingenuo Menelao gli aveva fornito su un piatto d’argento, la ricoprì di complimenti e di parole d’amore, fino a chiederle di partire con lui per Troia e diventare sua moglie. Ora, di fronte ad una richiesta tanto romantica quanto sfacciata, che cosa rispose secondo voi Elena? Quantomeno (e sottolineo quantomeno) avrebbe dovuto opporre un minimo di resistenza, anteporre la sua dignità di donna, moglie e madre, indignazione nei confronti della sfrontatezza del bel principe troiano ed invece accettò, se ne andò con le sue gambe, portando via con sé qualche ancella e un po’ di gioielli, per diventare a tutti gli effetti Elena di Troia, non più moglie di Menelao ma moglie di Paride.

Perché un gesto tanto sconsiderato? Era davvero così bisognosa d’amore e disperata Elena da compiere un gesto così impulsivo? Era davvero così egoista e, diciamolo pure con franchezza, così stronza, da combinare un guaio simile per un suo capriccio d’amore? Perché di certo sapeva quali catastrofiche conseguenze il suo gesto avrebbe provocato. Oppure era anche lei vittima dei sortilegi amorosi di Afrodite? Persino Zeus era stato più volte colpito dagli scherzi della figlia che l’aveva fatto innamorare di tante donne diverse, rendendosi responsabile delle continue cornificazioni nei confronti della moglie Era. Come quindi colpevolizzare una povera donna mortale, per giunta così emotivamente fragile, di fronte all’inganno divino?

Sta di fatto che, visto come sono andate le cose, chiamarlo rapimento mi sembra piuttosto fallace. E sta di fatto che quando Menelao tornò a casa e scoprì cosa era accaduto non la prese affatto bene!


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mercoledì, novembre 21, 2007

La guerra di Troia - capitolo 6 - La dinastia degli Atridi

Abbiamo lasciato Menelao felice come una pasqua perché era sposato alla donna più bella del mondo e perché era divenuto anche re di Sparta. Ma chi era veramente Menelao? Da dove veniva? Quale era il suo passato? E quali segreti agghiaccianti nascondeva la sua famiglia?
Se è vero che le colpe dei padri ricadono sui figli, per i greci queste ricadevano su tutte le generazioni future, senza fare sconto per nessuno. E la famiglia di Menelao aveva accumulato tante di quei crimini così infami e così brutali (che svariano dal fratricidio al patricidio, dallo stupro all’incesto) che ci sarebbero voluti millenni per espiarle tutte.
Se siete deboli di cuore o di stomaco, se non amate le storie truculente e sanguinolente, allora vi consiglio si saltare interamente questo capitolo, perché la storia che sto per raccontarvi è forse tra le più atroci e terrificanti che si siano mai raccontate nel mondo dei Greci. Se invece, spinti dal coraggio o dall’incoscienza, volete continuare a leggere, allora vi auguro fin d’ora un bel “In bocca al lupo”!
Tutto ebbe inizio con il bisnonno Tantalo che se si fosse chiamato Tontolo nessuno avrebbe notato la differenza. Il poveretto aveva invitato tutti gli dei dell’Olimpo a cena a casa sua ma quando si accorse che il cibo era insufficiente ebbe la geniale pensata di cucinare il figlio Pelope per ovviare alla mancanza ed evitare una brutta figura. Ma poiché nulla sfuggiva all’occhio attento degli dei, l’inganno venne scoperto, Pelope riportato in vita e ricomposto esattamente come era prima e Tantalo condannato a patire la fame per l’eternità.
Crescendo Pelope si fece una vita per conto suo ma, essendo degno figlio di suo padre, finì anche lui per commettere una scemenza. Difatti chiese all’amico Mirtilo di truccare i carri con i quali poi vinse una gara decisiva per la conquista della mano della principessa Ippodamia e il trono di Micene e poi, temendo che l’amico rivelasse la verità, lo uccise come niente fosse. In punto di morte però Mirtilo ebbe il tempo di pronunciare le sue ultime volontà che altro non erano che maledizioni contro Pelope e contro tutti i suoi discendenti. E quando si trattava di maledire qualcuno, si sa, gli dei erano sempre ben disposti.
Atreo e Tieste, i figli gemelli di Pelope non erano certo ragazzini tranquilli e commisero tante di quelle atrocità che è quasi impensabile credere che fossero umani. Basti pensare che, ancora fanciulletti, si divertirono ad uccidere il fratellino Crisippo appena nato. Poi litigarono a morte per contendersi il regno e nel frattempo stupravano mogli e figlie proprie e dell’altro con una naturalezza quasi sconcertante. Le situazioni familiari di entrambi sono piuttosto intricate e complesse. Sappiamo per certo che Atreo ebbe due figli, Agamennone e Menelao, mentre Tieste violentò la figlia Pelopia ed ebbe da lei a sua volta un altro figlio che fu chiamato Egisto.
Ma l’apice delle nefandezze si ottenne quando Tieste rubò la moglie ad Atreo e da lì la ferocia della vendetta non conobbe più limiti.
Fingendo di perdonarlo Atreo invitò Tieste a cena ma anziché offrirgli capretti e agnelli, decise di emulare il nonno e gli cucinò i suoi figli. Non contento gli aizzò contro l’ultimo figlio rimasto vivo, Egisto, che non avendo mai visto in faccia il padre, avrebbe dovuto completare l’opera uccidendolo ed eliminandolo per sempre dalla faccia della terra. Ma Tieste riuscì a farsi riconoscere in extremis dal figlio e a quel punto Egisto, nel capovolgimento di fronte della situazione, si scagliò prima contro Atreo (che colto di sorpresa, fu ucciso al primo colpo) e poi verso i cugini Agamennone e Menelao, del tutto ignari della situazione. I due principi però riuscirono miracolosamente a scappare e a correre a più non posso fino ad arrivare a Sparta, dove sapevano che regnava un re giusto e mite: Tindaro.
Fu in quella occasione che Menelao conobbe Elena, se ne innamorò perdutamente, la corteggiò, riuscì a fare breccia nel suo cuore e la sposò. E fu in quella occasione che Agamennone conobbe Clitennestra, sorella di Elena, se ne innamorò, ricevette da Tindaro la possibilità di riprendersi il suo regno e, tornato come vincitore, la sposò.
Ma da quelli che sembravano due buoni matrimoni sarebbero venute tante di quelle disgrazie per i greci che ancora oggi le narriamo con il pathos che giustamente meritano.


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martedì, novembre 13, 2007

Claudio Santamaria


Inizio col dire che non ho mai guardato una fiction in vita mia. A dire il vero la televisione la guardo solo per puro caso ed è difficile che io segua qualcosa con costanza. Le uniche cose che apprezzo sono le puntate trasmesse e ritrasmesse dei Simpson, alcuni telefilm su MTV (Scrubs, Lolle, Perfetti ma non troppo, ecc…) e nulla più. Quello che solitamente non amo nelle fiction è la scarsa capacità degli attori che viene accentuata dal ritmo lento e da un copione scontato.
Ma ieri sera mi sono imbattuta nella fiction su Rino Gaetano ed ho riscoperto un attore italiano bravissimo che avevo avuto modo di ammirare già al cinema: Claudio Santamaria.
La prima volta l’ho apprezzato per il ruolo dell’amico un po’ schizzato di Stefano Accorsi in “L’ultimo bacio”, quello che non riusciva ad accettare che la ragazza lo avesse mollato e cercava in tutti i modi di convincerla a tornare sui suoi passi. Poi l’ho rivisto con piacere in “Ma quando arrivano le ragazze” di Pupi Avati e in “Romanzo criminale”, film molto bello di Michele Placido, che può vantare un cast eccezionale.
Non me lo sarei mai aspettato di rivederlo in una fiction. Eppure ieri sera ho guardato la tv con piacere. Lui è bravissimo, si vedeva lontano un miglio che era nettamente al di sopra di tutti gli altri, teneva lo schermo da solo. È riuscito a trasmettere con intensità la solitudine di quest’ uomo, investito dal successo, circondato solo da persone che volevano sfruttare la sua popolarità, abbandonato dalla moglie stanca dei suoi cambiamenti di umore, stravolto dall’alcol.
Quello che solitamente non amo nelle fiction è la scarsa capacità degli attori che viene accentuata dal ritmo lento e da un copione scontato.

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venerdì, novembre 09, 2007

Visita forzata ad un sexy club

Ieri sera, piuttosto controvoglia, sono stata costretta ad andare in un sexy club per motivi di lavoro. No, non è come pensate! La verità è che dobbiamo realizzare il sito web del locale ed io ed i miei colleghi, armati di macchine fotografiche, siamo andati a fotografare le ragazze che si esibiscono durante lo spettacolo.
Non voglio esprimere giudizi sul locale, sul tipo di attività, sull’ambiente e tutto il resto, ma ci sono degli aspetti che mi sono rimasti abbastanza impressi e che mi lasciano perplessa.
Le ragazze avevano tutte degli atteggiamenti provocatori ed in particolare ce l’avevano con i miei colleghi maschietti. Vedendoli così timidi ne hanno approfittato per metterli in imbarazzo e proponevano, a chi faceva la foto migliore, un premio che consisteva in una notte con una di loro. Ora queste ragazze fanno così con tutti, ma proprio con tutti, ed i loro atteggiamenti, così come i loro movimenti e le loro parole, sono così scontati, banali, volgari e prevedibili che mi chiedo: ma davvero gli uomini sono attratti da queste cose? Davvero ci credono? Davvero sono così stupidi?
Forse il mio è un giudizio prettamente femminile e quindi abbastanza di parte, ma cosa ci può essere di attraente in una donna che ti palesa praticamente tutto, che si mostra con volgarità e abbondanza? Non è forse più attraente una donna che invece mostra poco ma lo fa con fascino e classe? Non è forse più bello il senso di conquista con una donna di un certo spessore?
Continuo a ripeterlo: il mio giudizio è personale e soprattutto femminile. È lo stesso giudizio nei confronti dei film porno che sono così finti e così privi di trasporto che mi lasciano totalmente indifferente. Ma davvero ci sono persone a cui tutto questo piace?
Mistero…

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lunedì, novembre 05, 2007

La guerra di Troia - capitolo 5 - Elena


Elena dai capelli color oro; Elena dagli occhi color del mare; Elena dalle bianche braccia; Elena dalle guance belle… Così gli aedi descrivevano Elena, la donna più bella del mondo, suscitando la curiosità di chi ancora non aveva avuto la fortuna di conoscerla. Che fosse bella non v’erano dubbi, tanto è vero che a qualcuno venne il sospetto che avesse origini divine.


Si vociferava infatti che Zeus, in una delle sue tante scappatelle, sedusse la giovane Nemesi, dea della vendetta, che nel frattempo si era trasformata in oca, trasformandosi lui stesso in cigno. Da questa unione aviaria fu fecondato un uovo che poi fu fatto scivolare nel ventre di Leda che alla fine partorì una bambina come fosse figlia sua e del marito Tindaro, re di Sparta. Secondo un’altra leggenda, Leda ebbe un contemporaneo rapporto con il marito Tindaro e con Zeus e da questo triangolo amoroso furono generate 2 uova: dal primo nacquero Elena e Clitennestra, figlie di Tindaro, dal secondo i Dioscuri Castore e Polluce, figli di Zeus.


Sebbene in molti sostengano che la bellezza sia un dono della natura, per Elena fu solo fonte di guai e disgrazie, sia per se stessa che per gli altri. La bellezza di Elena era tale che chi la vedeva sentiva il bisogno di possederla e non potendovi con le buone finiva per rapirla. Già all’età di 10 anni, Teseo e l’amico Piritoo la sottrassero indebitamente ai genitori e poi se la giocarono ai dadi. Vinse Teseo che però non ebbe il tempo di consumare il suo matrimonio grazie al provvidenziale intervento dei Dioscuri che riportarono Elena, viva e vegeta al padre.


Il povero Tindaro, che era un uomo abbastanza pacifico, pensava di avere risolto i suoi guai e si godeva la sua figlioletta, bellissima ed ancora vergine, in attesa che un principe ricco e potente venisse a bussare alla sua porta per chiederla in moglie. Ma alla sua porta non venne a bussare un solo principe, bensì tutti i principi della Grecia, ognuno dei quali offriva grandi doni in cambio della mano di sua figlia ed ognuno dei quali prometteva atroci vendette in caso di rifiuto. Sul volto di Tindaro il sorriso svanì ed al suo posto comparve un ghigno di preoccupazione che non lo lasciava più vivere. Perché aveva una figlia così bella che le dava tante preoccupazioni.? Perché la natura aveva voluto essere così magnanimo nei suoi riguardi?


La soluzione al problema gliela offrì proprio uno dei pretendenti, Ulisse re di Itaca. Ulisse non era bello, forte e ricco come tutti gli altri, però era furbo e scaltro e grazie alla sua astuzia riuscì più volte a risolvere intricate situazioni. Propose al re di far giurare a tutti i pretendenti eterna fedeltà a chiunque sarebbe stato il marito di Elena e addirittura di intervenire qualora essa fosse rapita. Ancora una volta il re di Itaca trovò la soluzione migliore al problema ma non sapeva che questa gli si sarebbe ben presto ritorta contro.


Per il re Tindaro ora era tutto più facile e poteva finalmente scegliere lo sposo per la figlia, ma ancora una volta non seppe prendere una decisione e lasciò il compito alla stessa Elena che fra i tanti scelse Menelao, un giovane mite, di buon cuore, leale, che in tutto quel tempo non l’aveva corteggiata né con tesori né con ricchezze ma con la dolcezza delle sue premure. Ah che romantico…


E mentre gli altri principi se ne tornarono a casa con la coda fra le gambe, pronti a rifarsi una vita con altre donne, Menelao si godeva la sua bellissima moglie ed il trono di Sparta, lasciatogli in eredità da Tindaro. Tanta fortuna che presto si sarebbe mutata in sventura.

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giovedì, novembre 01, 2007

Festa dei morti o Halloween



La Sicilia è terra ricca di tradizioni e feste popolari molto antiche che si tramandano da generazioni e che ne fanno una regione affascinante e allo stesso tempo misteriosa. Alcune di queste sono accompagnate da leggende e credenze che mescolano il sacro con il profano, la realtà con la fantasia. È il caso del 2 novembre, giorno dedicato alla commemorazione dei defunti, che da queste parti viene vissuto in maniera tutt’altro che triste, tanto da essere chiamato il giorno della Festa dei Morti. I cari defunti, che nell’immaginario collettivo sono cupi e addolorati, si trasformano in generosi e burloni e la notte tra l’1 e il 2 novembre abbandonando per qualche ora le loro eterne dimore, distribuiscono giocattoli, dolci e vestiti ai bimbi buoni, nascondendoli negli angoli più strani della casa. Al mattino ogni bambino inizia la sua frenetica corsa alla ricerca dei tanto attesi regali che di solito si trovano sotto il letto, sopra l’armadio, dentro i cassetti, ecc.. I maschietti generalmente trovano pistole giocattolo, robot, automobiline, trenini elettrici ed interi cantieri in miniatura; le femminucce trovano le classiche bambole che piangono senza il ciuccio, Barbie, cucine con tutto il pentolame al seguito. Poi tutti assieme si va al cimitero a portare fiori, a ringraziare i propri cari per la loro generosità e a ricordarli come quando erano in vita.

Un’antica tradizione questa, un tempo attesa più del Natale, che ancora una volta mette in luce lo spirito festaiolo e allegro che caratterizza i Siciliani e li contraddistingue in tutto il mondo. Ovviamente non può esistere una festa che non abbia delle specialità gastronomiche al seguito. Il dolce tipico per eccellenza è la frutta di martorana, detta anche pasta reale, realizzata con farina di mandorle e zucchero. Il nome di questo dolce deriva dalla chiesa della Martorana di Palermo, dove nel XII secolo le monache lo preparavano in occasione della festa di Tutti i Santi. Oggi i pasticceri hanno raggiunto livelli tali da riuscire a riprodurre fedelmente non soltanto frutta ma anche crostacei, panini con salame o panelle, piatti di spaghetti al sugo, talmente belli che sembra quasi un sacrilegio mangiarli. La frutta martorana viene in genere servita in grossi cesti, assieme a frutta secca e biscotti tipici, come i mustazzoli (ossa di morto). Oltre alla martorana esistono i pupi di zuccaru, vere e proprie bambole realizzate con zucchero e poi colorate a mano, che raffigurano paladini, personaggi dei cartoni animati e delle favole. Coloro che non amano i dolci possono stare tranquilli, perché anche il loro palato è accontentato. Difatti al mattino presto, in tutti i panifici, si possono trovare le muffolette, delle pagnotte da condire con pomodoro, sarde e cipolla e da mangiare ancora calde. In occasione della festa vengono allestiti dei mercatini dove è possibile trovare di tutto: dolci, giocattoli ed oggetti bizzarri e curiosi.

Eppure oggi se un bambino vestito da mostriciattolo viene a suonare alla porta brandendo la frase “Dolcetto o scherzetto” e pretendendo da noi dolci in cambio di protezione, o se veniamo invitati ad una festa in maschera in mezzo a streghe, vampiri e zombie, o se qualcuno arreda la casa con zucche vuote illuminate da una candela, quasi non ci facciamo più caso e accettiamo passivamente la trasformazione della Festa dei Morti in Halloween. Questa nuova festa, arrivata da noi dagli Stati Uniti grazie ai centinaia di telefilm made in U.S.A che popolano la nostra televisione, in realtà ha origini molto antiche e si fa risalire alla tradizione celtica del V secolo a.C. Secondo la leggenda, il 31 di ottobre gli spiriti dei defunti vagavano per la terra alla ricerca di un corpo da possedere per ritornare in vita. I celti, al fine di scoraggiare gli spiriti, spegnevano ogni fuoco, rendevano fredde le loro case e si abbruttivano il viso e il corpo. La tradizione è poi giunta in America nel 1840, quando gli irlandesi emigrarono verso il nuovo mondo. Oggi gli americani l’hanno trasformata in una festa in maschera, simile al nostro carnevale ma in versione horror, ed è un modo come un altro per ridere dell’idea della morte. Queste due tradizioni, generate dallo stesso principio ma sviluppatesi in maniera del tutto differente, ci mostrano ancora una volta quanto il mondo sia vario e allo stesso tempo bello. È giusto conoscere e capire gli altri, ma questo non vuol dire emularli a tal punto da dimenticare da dove veniamo e quali tesori possediamo già. Chissà se ci riusciremo.


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sabato, ottobre 27, 2007

La guerra di Troia - capitolo 4 - La scelta di Paride

Che cosa è la felicità se non quella serenità interiore in grado di dare una valenza tale alle cose che ci circondano da non avvertire più il bisogno di nulla? E Paride si sentiva l’uomo più felice sulla terra perché aveva tutto: una moglie bella, tenera, affettuosa, dolce e premurosa; il monte Ida con i suoi fiumi, i boschi, i prati, l’erba e gli animali; le pecore da pascolare tutti i giorni al suono della sua musica. Ma il destino era pronto dietro l’angolo a capovolgere ogni cosa, pronto ad accendere il desiderio verso mete fino ad ora impensate.

E il destino si materializzò davanti agli occhi di Paride un giorno che sembrava uguale a tanti altri. D’improvviso gli apparve Ares, dio dalle ali alate, che gli propose di scegliere chi fra Era, Atena e Afrodite fosse la dea più bella dell’Olimpo. Superato l’iniziale spavento per l’apparizione improvvisa, il giovane Paride non poté fare a meno di rimanere pietrificato di fronte alla bellezza delle tre dee e gli parve di non avere mai visto niente di così straordinario in vita sua. Le tre dee, dal canto loro, vista l’indecisione del giovane, prima si spogliarono completamente nude, mostrandosi in tutto il loro splendore come si fa nei migliori concorsi di bellezza, poi decisero di utilizzare un’arma che fin dall’inizio dei secoli ha sempre dato i suoi buoni frutti: la corruzione.

Era, moglie di Zeus e quindi madre di tutti gli dei, fu la prima a farsi avanti e gli promise potere e ricchezza su tutta l’Asia e sul mondo intero. Atena, della saggezza e della guerra, per tutta risposta gli promise intelligenza e abilità in tutte le arti. Ma Afrodite, dea della bellezza e dell’amore, sapeva bene come riuscire a convincere un uomo, perché di fronte ai piaceri della carne non c’è nulla che tenga, né ricchezza, né potere, né fama, né gloria. E così gli promise l’amore di Elena, la donna più bella del mondo.

Di fronte ad una tale prospettiva Paride non seppe dire di no e subito le consegnò la mela. Afrodite, raggiante come non mai, si prese il suo bel trofeo mentre le altre 2 stizzite se ne tornarono con la coda fra le gambe, non prima di avere rivelato a Paride la verità sulle sue origini. La vita di Paride era sconvolta: che cosa ci faceva ancora lì sul monte Ida a pascolare pecore, lui che era un principe figlio di re? Perché continuare ad indossare abiti lisi fatti con stoffe grezze quando avrebbe potuto indossare vesti pregiate con finimenti dorati? Che cosa ci faceva ancora con una pastorella quando lui poteva avere l’amore di Elena, la donna più bella del mondo? Dico, ci pensate? La donna più bella del mondo, ed era sua, solo sua!

Quanto è fragile la felicità di un uomo, basta poco per trovare irritante tutto ciò che fino a quel momento ci aveva soddisfatti. Approfittando di alcune gare olimpiche Paride lasciò tutto e tutti, lasciò Enone che lo pianse per anni e anni, e raggiunse la città. Vinse tutte le gare ed alla fine rivelò al padre Priamo la sua vera identità. Priamo ed Ecuba, dimentichi dei motivi che li avevano spinti all’abbandono, riabbracciarono il figlio per farlo diventare un vero principe. Che ne era del sogno funesto fatto da Ecuba? Che ne era della previsione degli indovini? Solo Cassandra piangeva e si dimenava perché sapeva quale infausto destino si stava per abbattere sulla sua amata città, ma ovviamente nessuno le credeva.

Già Paride era bello di suo ma vestito come un vero principe faceva la sua porca figura! Tutte le fanciulle gli sbavavano dietro ma lui aveva una missione: trovare Elena e farla diventare sua moglie. L’occasione gli si presentò poco dopo. Infatti il padre lo mandò in missione per mari e quando seppe che Elena viveva a Sparta e che era moglie del re Menelao, si precipitò subito nella città greca per compiere il suo misfatto.



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martedì, ottobre 23, 2007

La guerra di Troia - capitolo 3 - La mela d'oro

Che cosa può desiderare di più un padre se non avere la certezza che il proprio figlio sarà l’uomo più forte e coraggioso del suo tempo e passerà alla storia per le sue gesta eroiche? Questo era ciò che attendeva Peleo, re dei Mirmidoni, perché la donna che stava per sposare non era una donna qualunque, ma addirittura una dea dell’Olimpo. Teti. E che dea! Qualcuno aveva osato affermare che fosse meglio di Afrodite, dea della bellezza. Ma sul destino di Teti incombeva una grave profezia: il figlio nato dal suo matrimonio sarebbe stato più forte del padre, e nessun dio se la sentiva di affrontare una simile onta.
Per consolarsi Teti trascorreva le sue giornate facendo il bagno nuda tra le acque spumeggianti del mare Egeo per poi riposare sulla spiaggia. Un giorno Peleo, che si trovava a passare da quelle parti, rimase abbagliato dalla bellezza della dea ed approfittando del fatto che dormisse le saltò addosso. Teti tentò di reagire, trasformandosi in tutte le creature marine possibili ed immaginabili ma alla fine anche lei cedette alla passione e si abbandonò all’amore di Peleo.
Quel giorno quindi sul monte Olimpo era gran festa perché si celebravano le nozze tra Teti e Peleo. Per l’occasione Zeus aveva invitato tutte le divinità, ma proprio tutte tutte. In effetti, se proprio la dobbiamo essere sinceri, qualcuno era stato escluso in modo del tutto intenzionale. Si trattava di Eris, dea della discordia. Ma come dare torto a Zeus? Eris era solita andare in giro vestita di stracci, con una benda insanguinata sull’occhio e vipere al posto dei capelli. Attorno a lei poi giravano sempre dei bambini sporchi, smorfiosi e irritanti che si chiamavano Odio, Dolore, Fame, Pena, Ingiustizia, Stento, Menzogna e Bestemmia. Insomma un vero disastro. Potete immaginare già da voi che non era proprio il personaggio più adatto ad un matrimonio.
Ma questa cosa ad Eris non era proprio andata giù ed anziché covare vendetta dentro di sé, decise subito di entrare in azione con una delle sue migliori performance. Prese una mela d’oro che cresceva tra gli alberi dei giardini dell’Olimpo, vi scrisse sotto “Alla più bella” e poi la lanciò sul tavolo, in mezzo a tutti i commensali. Immaginate la scena: attorno al tavolo ci sono tutte le dee dell’Olimpo, altezzose e superbe, ed ognuna di esse è bellissima ed ognuna di esse è convinta di essere la più bella in assoluto. Provate quindi a pensare che reazione può scatenare una cosa simile! Subito si levò un gran vociare ed alla fine Era, Afrodite e Atena, le più belle e le più altezzose, chiesero a Zeus di porre fine alla baruffa scegliendo a chi spettava quella mela d’oro.
Il povero Zesu, che in quanto a donne la sapeva lunga, con la fronte imperlata dal sudore freddo, comprese che qualunque scelta avesse fatto si sarebbe ritorta contro di lui e pensò bene di dare l’incombenza a qualcun altro, un uomo dall’animo nobile come quello di un principe e semplice come quello di un pastore. E chi meglio di Paride poteva assumersi un compito di tale entità?
Così sentenziò Zeus, padre degli dei, e mandò Ares, dio con le ali ai piedi, insieme ad Era, Afrodite e Atena sul monte Ida, alla ricerca di Paride.

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venerdì, ottobre 19, 2007

Un cane di nome Biagio

Effettivamente non è che sia il nome più adatto da dare ad un cane. Certo non dico cadere nella banalità con nomi come Fido o roba simile, però Biagio mi fa un po’ storcere il naso.
Dei miei amici una volta avevano un cane che si chiamava Achille e che non aveva nulla a che vedere con l’eroe greco. Innanzitutto l’Achille greco ebbe una vita breve ma gloriosa, mentre questo cane ha avuto una vita lunga e poco gloriosa. Io lo avrei chiamato “Il piccolo aiutante di Babbo Natale”, come il cane dei Simpson, perché era proprio stupido come lui!
Ad ogni buon conto stavamo parlando di un altro cane: Biagio. Ci tengo a precisare, non è mio. So che sto per dire una cosa altamente impopolare, ma io non amo gli animali. Cioè non li odio , ma non mi fanno simpatia. Voglio dire, ognuno di noi ha il suo habitat naturale e finche i due habitat stanno lontani per me va più che bene. Però mi piacciono i pesci, questo sì, e il mio sogno sarebbe un bell’acquario. Fino a qualche mese fa avevo due pesci rossi, Frodo e Sam, come i due hobbit del Signore degli Anelli. Sam era ciccione mentre Frodo più gracilino ed indifeso. Ma poi una mattina li ho trovati entrambi morti dopo 3 anni e la cosa mi ha addolorata parecchio.
Biagio invece è il cane della mia vicina di casa, una donna che poco conosce la discrezione. La conosco appena di vista eppure so tante cose di lei. So che ama indossare scarpe con i tacchi alti con le quali ogni mattina percorre chilometri lungo la sua stanza che guardacaso è proprio sopra la mia camera da letto; so che la sua migliore amica si chiama A. con la quale si intrattiene in lunghe ed animate discussioni al telefono dal balcone che guardacaso si trova proprio sopra il mio balcone; so che ha un fidanzato di nome M. con il quale convive da un anno e con il quale ha avuto una violenta lite un paio di settimane fa a seguito di un suo tradimento; e so che ha un cane, di nome appunto Biagio, che abbaia con la sua vocina petulante e acuta, assai simile a quella della sua padrona. È proprio vero, i cani somigliano ai padroni.
E tutte queste cose volete sapere come faccio a conoscerle? Semplice, perché grazie a lei passo notti insonni disturbata dai suoi perenni rumori.
Ah, dimenticavo: so anche quando si lascia andare in atteggiamenti più intimi…

martedì, ottobre 16, 2007

La guerra di Troia - capitolo 2 - Storia di Paride

C’erano una volta un re di nome Priamo ed una regina di nome Ecuba che regnavano felici sulla città di Troia ed avevano 50 figli. Anche se “ogni scarafone è bello a mamma soia”, gli stessi Priamo ed Ecuba convenivano col fatto che non tutti questi figli gli erano riusciti proprio bene bene. Per esempio c’era Esaco, un poveretto che dopo una delusione amorosa tentava il suicidio tutte le mattine alle 8 in punto, gettandosi da una scogliera che, essendo troppo bassa, gli provocava a malapena qualche escoriazione. Alla fine gli dei, stanchi dei suoi vani tentativi, decisero di fare un favore all’umanità intera trasformandolo in un uccello così poteva volare e non cascare più!

Poi c’era Cassandra, considerata da tutti una pazza visionaria perché blaterava su catastrofi imminenti che si sarebbero abbattute sulla città di Troia. Ma l’appellativo non era esatto. Cassandra sì aveva il dono della veggenza, ma nessuno le credeva. La giovane e temeraria figlia di Priamo, infatti, un giorno si trovava a passeggiare per il bosco quando si imbatté nel dio Apollo in carne ed ossa che ebbe l'ardire di farle una proposta indecente:

“Se accetterai di giacere con me, io ti regalerò il dono della veggenza”.

La bella Cassandra accettò con entusiasmo ma al momento di pagare il suo debito si tirò indietro ed il dio Apollo la punì: da quel momento in poi più nessuno avrebbe creduto alle sue previsioni. Una vera catastrofe non solo per la povera Cassandra ma anche per tutta la città di Troia che, se solo avesse creduto alle sue parole, si sarebbe risparmiata di essere rasa al suolo.

E poi c’era Paride, il principe più bello di tutta Troia, ma anche quello che diede più rogne ai genitori, ancora prima di nascere. Infatti si narra che la regina Ecuba, in uno dei tanti momenti in cui era incinta, ebbe un incubo: sognò che dalle sue viscere spuntavano fiamme che incendiavano tutta la città fino alla sua distruzione totale. In preda alle vampate di calore la regina chiese subito consiglio al marito il quale, di fronte ad un sogno di tale difficoltà, convocò il consiglio dei saggi.

Ora la tradizione vuole che i saggi siano tutti vecchi, con le barbe e i capelli lunghi e bianchi, tipo Gandalf del Signore degli Anelli, e le opinioni sempre in disaccordo. Ma questa volta non avevano dubbio alcuno: questo bambino sarebbe stata la rovina di Troia.

Percossi e attoniti di fronte alla nefasta notizia, i due coniugi convennero che forse era il caso di disfarsi del nascituro. Dopotutto di figli ne avevano già a sufficienza, uno in più o uno in meno che differenza poteva fare?

Alla nascita di Paride lo consegnarono al fidato pastore Agelao, pregandolo di abbandonarlo sulla cima del monte Ida. Il pastore eseguì l’ordine ma dopo alcuni giorni, recandosi sulla cima del monte, trovò il bambino vivo e vegeto grazie ad un’orsa che lo allattava amorevolmente. Il cuore tenero di Agelao si commosse di fronte a quella scena, comprese che il destino di quel bambino era di vivere e così lo allevò, insieme alla moglie, come fosse figlio suo. Ma non sempre il cuore tenero agisce nel modo migliore, perché a volte occorre avere il coraggio di sacrificare una vita per poterne salvare altre migliaia. Ma questo Agelao non poteva saperlo.

Il giovane Paride crebbe così convinto di essere un umile pastore figlio di pastori. Ma siccome era principe, e per i greci tutti i principi erano forti, belli e aggraziati, anche lui era forte, bello e aggraziato: imparò a suonare il flauto e mentre pascolava le pecore il suono della sua dolce melodia si diffuse per tutto il monte fino a giungere alle orecchie della giovane Enone. Ben presto sbocciò un tenero amore ed i due piccioncini si scambiavano continuamente effusioni: lei confezionava per lui corone di fiori e lui incideva sugli alberi frasi del tipo “Il giorno in cui Paride non avrà più bisogno di Enone i fiumi risaliranno la corrente”. Che teneri che erano!

Si sposarono ed erano veramente felici, ma il destino dietro l’angolo era già pronto a compiere il suo misfatto.



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venerdì, ottobre 12, 2007

La guerra di Troia - capitolo 1 - Le origini del mito

Questa storia potrebbe iniziare con un “C’era una volta un re di nome Priamo e una regina di nome Ecuba che vivevano felici nel loro regno di Troia ed avevano 50 figli”. Ma questa storia non è una favola, almeno non completamente, visto che grazie ad un pazzo scatenato di nome Schliemann possiamo affermare con cognizione di causa che la città di Troia esistette veramente e fu rasa al suolo dai greci dopo una sanguinosa e lunga guerra.

Non era tanto normale questo Schliemann! Da bambino gli regalarono un libro sulla mitologia greca, spiegandogli che però si trattava di pura legenda, senza la minima traccia di verità. E lui si appassionò così tanto che la sua unica ragione di vita divenne quella di dimostrare invece che non era tutta fantasia quella trascritta ma che quelle battaglie e quei personaggi erano esistiti veramente. Lavorò un po’ qua e un po’ là, mise da parte una fortuna ed un bel giorno partì alla volta dei Dardanelli con l’intenzione di scavare e riportare alla luce i resti di un’antica e fastosa civiltà. Ovviamente in Turchia gli risero in faccia pensando di trovarsi di fronte ad un malato di mente degno del miglior manicomio, uno che sposò una ragazza per corrispondenza solo perché era greca e che chiamò i suoi figli Agamennone e Andromaca! Come era possibile che le gesta cantate nell’Iliade e in mille altre tragedie greche, tramandate dai poeti dell’antichità, potessero essere vere? La ragione aveva prevalso sulla fantasia e nel corso dei secoli le aveva conferito il ruolo di pura follia.

Ma Schliemann tanto disse e tanto fece che, dopo un anno di estenuanti trattative, ottenne il permesso di effettuare gli scavi ed oggi possiamo ringraziare questo pazzo scatenato perché, per merito della sua testardaggine e della sua follia, sappiamo che la guerra di Troia è veramente esistita insieme a tutti gli eroi che la combatterono. Ma accettare che una guerra così sanguinosa possa essere stata combattuta solo per un motivo strettamente passionale è ancora troppo difficile da assorbire per la mente umana abituata a razionalizzare tutto, ed è per questa ragione che oggi affermiamo l’esistenza di due ipotesi relative alla guerra di Troia: una prettamente storica ed una condita con abbondante fantasia.

Quella storica riguarda una questione prevalentemente materiale. Troia infatti si trovava sullo stretto dei Dardanelli e ad ogni passaggio di nave per scambio di merci esigeva il pagamento di forti contributi. In poche parole anche allora si doveva pagare il pizzo e chi si esimeva incappava in feroci vendette… Per tale ragione i greci, stanchi di tali soprusi, decisero di intraprendere questa guerra.

Ma la versione storica è talmente priva di fantasia che quasi ci rifiutiamo di accettare e ci rifuggiamo in quella più appassionata che molti dei più famosi poeti greci ci hanno tramandato. Una storia bella, intensa, romantica, in cui prevalgono valori come l’amicizia, l’amore, il senso della patria, il desiderio di immortalità, ma anche il tradimento, l’inganno e la vendetta. Certo la civiltà moderna ci ha insegnato che ci vogliono motivazioni ben diverse per scatenare una guerra, come per esempio salvare il mondo intero dalla tirannia di un feroce assassino, ma per i greci bastava molto meno, anche un semplice tradimento amoroso!

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martedì, ottobre 09, 2007

Troy: che fine ha fatto l'ira funesta del Pelide Achille?

Probabilmente se uno non ha mai sentito parlare di mitologia greca e crede che Ulisse sia un delfino curioso goloso di caramelle ed Elena di Troia una giovane fanciulla che amava divertirsi come meglio poteva, allora forse potrebbe pure guardarsi in tutta tranquillità un film come Troy, trovarlo a tratti piacevole e pensare che quella sia la vera storia di una famosa e leggendaria battaglia. Ma non me la sento di lasciare questi poveri avventori alla deriva, non me la sento di farli vivere a lungo in questo feroce inganno, lasciandoli ignari della verità, ed è per questo che oggi mi assurgo a “moralizzatore” del cinema per poter affermare, con assoluta certezza, che il film Troy “è una cagata pazzesca”.

Passi pure che i film tratti da libri o da storie già esistenti non siano mai fedeli e si concedono qualche personalizzazione, passi pure che Achille, eroe greco, era biondo con gli occhi azzurri, però… però… però… Questo non è un film ma un oltraggio all’affascinante mondo della mitologia greca che tanto ho amato fin da piccola e che continuo ad amare con la stessa passione.

Certo che ne avevano di fantasia i greci. Visto che allora non c’erano né televisioni né radio né giornali, il racconto degli avvenimenti veniva affidato agli aedi, cantastorie e poeti del tempo, che amavano condire la realtà con una intrecciata serie di aventi mitologici che ben poco avevano a che fare con la realtà: battaglie strepitose, uomini forti e coraggiosi, e soprattutto gli dei che invece di starsene sul monte Olimpo a bere nettare, andavano ad importunare gli umani, consigliandoli o ingannandoli a seconda dei loro stessi desideri. Insomma delle divinità abbastanza umanizzate.

In questo film non c’è niente di epico: gli dei sono completamente assenti, al massimo nominati di sfuggita e persino ridicolizzati dalle interpretazioni bislacche degli indovini; la storia è talmente stravolta che si finisce completamente di perdere tutto il senso dell’Iliade ed i personaggi un po’ azzizzati per sembrare più cattivi o più buoni a seconda delle circostanze.

Potrei stare qui per giorni e giorni ad elencare tutti gli stravolgimenti avvenuti, ma praticamente dovrei rifare il film di sana pianta o raccontare per filo e per segno come è andata veramente (almeno secondo i greci che ne sono ancora convinti). Ma voglio soffermarmi sulla figura di Achille e sul suo interprete.

Diamo merito a Brad Pitt per l’impegno messo soprattutto nei duri mesi di palestra per avere il fisico muscoloso dell’uomo più forte della Magna Grecia, però la sua interpretazione è davvero penosa. Ma che fine ha fatto l’ira funesta del pelide Achille? Che fine ha fatto quel miscuglio di sentimenti che lo spingevano a combattere le sue battaglie. Sì, Achille era assetato di gloria e di fama, ma questo lo si capisce dall’infinito numero di parole spese per spiegare questo concetto; sì, Achille amava profondamente il cugino Patroclo ma questo si capisce solo dalla sua vendetta verso Ettore; sì, Achille era un tipo poco paziente che si infuriava facilmente, ma questo si capisce solo dal fatto che si nascondeva nella sua tenda e non andava in battaglia per fare un dispetto ad Agamennone. Per il resto l’unico sforzo interpretativo di Brad Pitt consiste nello spostare gli angoli della bocca o verso l’alto verso il basso, a seconda della tragicità delle scene. E poi basta. È talmente inguardabile che alla fine si sorvola persino sulla bellezza del suo fisico scolpito.

Potrei spendere altri fiumi di parole per parlare anche dell’altro divo di questo film, Orlando Bloom nei panni del pavido Paride. Ma qui è talmente pavido che già il ridicolo delle scene a cui è sottoposto basta da solo a spiegare tutto.

Perciò, oh voi poveri mortali che vivete all’insaputa della mitologia greca, non guardate questo film e se proprio volete sapere come è andata venite da me che, come un antico aedo, mi siederò su uno scoglio o su una pietra posta al centro di una piazza e sarò ben felice di raccontarvi come andarono veramente le cose.




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martedì, ottobre 02, 2007

Il dolce e l'amaro

Un film di Andrea Porporati.
Con Luigi Lo Cascio, Donatella Finocchiaro, Toni Gambino, Gaetano Bruno, Gioacchino Cappelli, Ornella Giusto, Emanuela Muni, Vincenzo Amato, Renato Carpentieri, Fabrizio Gifuni.
Genere Drammatico, colore 98 minuti. -
Produzione Italia 2007.

Ma Luigi Lo Cascio non era contrario alla mafia? Un momento, sto facendo un po’ di confusione. Quello che ricordo io era Luigi Lo Cascio che interpretava Peppino Impastato nel film “I cento passi”. Ah, che bello quel film e che bravo Lo Cascio: era riuscito a dare forza e personalità ad un personaggio così marcato, determinato, intransigente, coraggioso e fortemente condizionato dai suoi ideali. Un vero talento del cinema italiano che diventa anche motivo di orgoglio visto che è nato a Palermo. Tuttavia per lui, dopo “I cento passi” tanti altri ruoli in film che però non avevano la stessa forza emotiva del primo. Il cinema italiano ha questo grande divario: se da un lato sforna film molto belli ed intensi, dall’altro però ne sforna anche altri di qualità inferiore in cui spesso e volentieri viene a mancare una trama ben definita e quindi tutto il peso del film va a cadere su personaggi spesso privi di personalità. Difficile quindi per un attore riuscire a far emergere il proprio talento.
Ed ora me lo ritrovo in “Il dolce e l’amaro”, film di Andrea Porporati, girato quasi interamente a Palermo. Sinceramente, appena ho visto la locandina, ho subito pensato che si trattasse di un altro film pesante e farraginoso in cui per due ore ti struggi la mente cercando di capire il tormento interiore del protagonista fino a che decidi di arrenderti ed aspetti con pazienza la fine. Tuttavia in molti me ne hanno parlato bene e così, spinta dalla curiosità, sono andata a vederlo.
Eccomi qua, seduta a vedere un altro film girato a Palermo che parla di mafia. Sai che novità! Ed invece la novità c’è: è il primo film di mafia che fa ridere. Senza scomodare Coppola con il suo “Padrino” ci troviamo di fronte ad un film che è l’esatto opposto dei vari “Palermo Milano solo andata”, “Pizza Connection”, “Mary per sempre”, “Ragazzi fuori” o addirittura la saga televisiva de “La piovra”. Certo visto l’argomento c’è qualche sparatoria qua e là, qualche goccia di sangue che scorre, qualche regolamento di conti a scopo vendicativo ed una serie abbondante di tradimenti, però la mafia viene vista ed affrontata con ironia, con l’esaltazione di certi atteggiamenti che finiscono per essere comici e che ridicolizzano alquanto il termine di “uomo d’onore”.
E qui torniamo a Luigi Lo Cascio, che stavolta interpreta Saro, un delinquentello, figlio a sua volta di delinquenti, che si fa tutta la trafila nel mondo mafioso fino a fare “carriera” e diventare uomo d’onore. E ritroviamo l’attore talentuoso di un tempo, che sa dare grinta e forza ai suoi personaggi, che sa fare ridere, piangere, commuovere e gioire al momento giusto e che sa regalare le mille sfaccettature che ogni essere umano ha nel suo DNA. E soprattutto arriviamo alla morale del film che si legge negli occhi di Saro quando si accorge dell’inganno della sua vita: voleva essere un grande uomo ed invece è stato un uomo di niente. In fondo la vera grandezza la si trova nelle piccole cose, in quelle che rendono la vita “normale” e che comunque ci fanno stare acanto alle persone che ci vogliono bene.
Ma come, direte voi, la morale del film non sta proprio nel suo titolo, e quindi nel fatto che nella vita si possono fare mille scelte ma che da esse scaturiscono migliaia di conseguenze e che quindi occorre prendere sia il dolce che l’amaro? Si, vi potrei pure dare ragione, anzi ve la do volentieri, però per me, la grandezza di questo film, sta nella parabola di un uomo che finalmente trova la sua dimensione.


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mercoledì, settembre 19, 2007

L'albergo delle donne tristi

Titolo: L'albergo delle donne tristi
Autore Marcela Serrano

A Chiloè, un isola a sud dell’arcipelago del Cile, si trova un albergo molto particolare che offre ristoro a donne accomunate da un sentimento di fondo: la tristezza. Attraverso una serie di attività comuni ed individuali e soprattutto attraverso la catarsi, queste donne si liberano della loro tristezza e fanno ritorno alle loro case per riprendere la vita di sempre ma con uno spirito diverso.

Ma perché queste donne sono tristi? Il motivo sembra essere sempre lo stesso: gli uomini. Uomini che abbandonano le loro mogli per andare a vivere con donne più giovani; uomini che non si preoccupano neppure di mantenere i propri figli; uomini sempre più in difficoltà nei confronti della posizione della donna che diventa ogni giorno più forte.

Le donne infatti non sono più come un tempo. Oggi le donne studiano, lavorano, hanno carriere brillanti e ruoli di potere nella società; oggi le donne, nei rapporti con gli uomini, sono più decise, non aspettano il corteggiamento ma si fanno avanti, e anche nel sesso pretendono avere un ruolo da protagonista. Per questo gli uomini si sentono spiazzati, confusi, incapaci di agire di conseguenza: da un lato vedono messo in discussione il loro potere e dall’altro non sanno come comportarsi per adattarsi a questa nuova condizione.

Protagonista di questo romanzo è Floreana, studiosa di storia ed autrice di alcuni libri, che finisce in questo albergo per dimenticare 2 episodi che la rendono particolarmente triste: la morte prematura della sorella minore a causa di un tumore e l’ennesimo abbandono da parte di un uomo con conseguente decisione di votarsi per sempre alla castità. Ma le intenzioni non sempre poi trovano riscontro con la realtà e ben presto Floreana si troverà a dover mettere fortemente in discussione il suo buon proposito.

Lo stile della Serrano è fluido e scorrevole come sempre, tuttavia c’è un senso di tristezza che avvolge ogni pagina di questo libro e lo rende veramente pesante. Certo visto le premesse del titolo non ci si poteva di certo aspettare un libro comico o in qualche modo divertente, però questa tristezza che finiamo quasi per toccare con mano è una tristezza intrappolata in se stessa, che quasi si compiace delle sue tragiche sfumature e non vuole trovare una via di fuga. Floreana poi non fa altro che piangersi addosso, autocommiserarsi, togliere ogni pregio alla sua persona per attribuirlo alla fortuna e al caso. Ben presto si accorgerà di non essere l’unica persona al mondo ad avere subito la “cattiveria” degli uomini perché l’albergo è pieno di donne che hanno storie anche più strazianti della sua. E ben presto si accorgerà che la cattiveria non è solo degli uomini, ma anche delle donne che sanno manipolare gli uomini a loro piacimento per il semplice gusto di fare del male.

L’unico vero motivo che alla fine spinge il lettore ad arrivare alla fine del libro è l’esito di una storia d’amore troppo combattuta ed imprigionata in mille paure e problemi.

Il finale è scontato .



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martedì, settembre 18, 2007

Gli Incredibili

Una normale famiglia di supereroi

U.S.A 2004
Di Brad Bird
Voci di: Brad Bird, Holly Hunter, Samuel L. Jackson

Come è difficile essere normali, specie quando normali non lo si è affatto. I Parr, almeno nelle apparenze, sono una tranquilla famigliola americana: Bob fa l’assicuratore mentre Helen cresce gli irrequieti figlioletti, Violetta, Flash e Jack Jack. Un quadretto familiare abbastanza delineato e standardizzato. In realtà i Parr sono dotati di super poteri che, tuttavia, sono costretti a nascondere perché il mondo non li accetta. E così, alle frustrazioni tipiche di ogni essere umano, come i problemi sul lavoro, i figli che litigano, i chili di troppo e la macchina che non va più bene, si aggiungono le frustrazioni derivate dall’impossibilità di essere se stessi. Se poi ci aggiungiamo il ricordo delle gesta passate, quando Bob (Mr. Incredibile), insieme ad Helen (Elasticgirl) e a tanti altri amici, sgominavano bande di criminali e salvavano la gente da mille pericoli, ecco che la quotidianità e la normalità diventano una condizione troppo pesante da mandare avanti. Ci vorrà il cattivo di turno, con le sue turbe mentali e le manie di grandezza a scombinare la tranquillità e a ricreare le condizioni di avventura necessarie per richiedere l’intervento dei supereroi.

“Gli incredibili” è il primo film della Pixar che ha come protagonisti degli umani. Il tema dei supereroi è molto caro agli americani, che ne hanno fatto un elemento di culto prima nel mondo del fumetto e poi in quello del cinema. Del resto la lotta tra bene e male ha sempre caratterizzato ogni produzione made in U.S.A., segno di una cultura che predilige molto i valori morali (l’integrità, l’onestà, la famiglia, l’amicizia) ma che risente troppo di manie di grandezza fin troppo evidenti. La storia, tra l’altro ben costruita, ha come intento quello di descrivere il mondo dei supereroi in modo più ironico e divertente, cercando di “umanizzarli” e di vederli alle prese con i piccoli problemi quotidiani. Il film, nonostante si tratti di un cartone animato, offre notevoli spunti di riflessione. Primo fra tutti il problema della diversità, con tutte le problematiche del caso a cui va incontro chi sa di uscire fuori dallo standard.

Da ciò ne consegue l’incapacità di accettarsi e il desiderio di cambiare la propria natura, sforzandosi invano e finendo per essere dei disadattati. Singolare, in tal senso, è il breve lungometraggio che precede il film, in cui una capretta prima si sente a disagio in mezzo agli altri, poi finisce per accettarsi e saltare allegramente fra le montagne. Come tutti i film di animazione che si rispettino, particolare importanza è stata data alla scelta delle voci. Nel cast americano spiccano i nomi di Holly Hunter e Samuel L. Jackson; in Italia, tra i nomi di spicco, ritroviamo Laura Morante che da voce ad Helen e Amanda Lear che da voce ad Edna, eccentrica stilista che veste i supereroi. Una curiosità: il personaggio di Edna è in realtà ispirato a Edith Head, costumista di moltissime produzioni. Un cartone animato che diverte sia bambini che adulti, senza cadere nella banalità.
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martedì, settembre 11, 2007

Carmen Consoli la cantantessa delle emozioni

La prima volta che l’ho sentita cantare dal vivo è stato nel lontano 1996. Il teatro Metropolitan di Palermo era gremito in ogni suo posto ed il pubblico attendeva con febbricitante attesa il concerto di Raf. Ma poco prima del concerto, da dietro le tende, comparve una ragazza con i pantaloni neri e la camicia verde, sola con la sua chitarra e senza neppure un palco. La riconobbi: era Carmen Consoli. Di lei si sapeva ancora poco: un apparizione a Sanremo e, nonostante il favore della critica, il successo del pubblico era ancora piuttosto lontano. Cantò 3 pezzi, con una grinta ed una rabbia in corpo impressionanti. Era come se lì davanti ci fosse l’uomo che per anni l’aveva fatta soffrire e lei le stava vomitando addosso tutto l’odio che aveva dentro. Certo che ne aveva di fegato la ragazza: non ebbe nessun timore reverenziale, non manifestò alcuna emozione nel cantare davanti ad un pubblico che stava aspettando un altro artista e tenne il palco con dignitoso distacco.

Poi nel 1998, dopo “Due parole” e “Confusa e felice”, uscì il suo terzo album, “Mediamente isterica”, e arrivò la consacrazione. L’album denunciava una certa maturità sia nei testi che nelle musiche: c’era la grinta e la rabbia di sempre, ma c’era anche una evidente femminilità ed una non indifferente sensualità che rendevano i suoi brani un mix esplosivo di passionalità e trasporto. Le parole non erano tenere, le storie che cantava denunciavano illusioni e tradimenti e le musiche erano forti e decise. Il tutto ovviamente accompagnato dalla sua voce inconfondibile e tagliente.

Non lo nego, era la mia cantante preferita. Diciamo anche che incontrò il mio favore perché a quel tempo stavo vivendo anche io una fase di rabbia esplosiva che tendeva ad uscire fuori e di femminilità che si manifestava poco alla volta nei miei stessi gesti. Sono andata a vederla cantare nuovamente dal vivo, ai Cantieri Culturali della Zisa, ed ho fatto un bagno di energia pura, assieme agli altri suoi fan.

Ma nel 1999 accadde qualcosa: il preludio alla svolta. Si presentò a Sanremo con il brano ”In bianco e nero”, dedicato alla madre e per la prima volta non c’era rabbia nei suoi testi, anzi, sembrava un ritorno sui propri passi. Questa volta Carmen non ce l’ha con qualcuno, ma anzi fa un analisi interiore del suo comportamento e si pente di tutte quelle volte in cui non ha ascoltato la madre e l’ha sentita per questo lontana. È un cambiamento radicale. Quella canzone non mi è mai piaciuta, forse perché mi aspettavo la Carmen graffiante di sempre ed invece mi trovavo di fronte ad una Carmen più rabbonita.

Quell’album, “Stato di necessità”, mostrava ancora tracce della sua rabbia in qualche brano, ma la canzone più bella, forse la sua più bella in assoluto, è “L’ultimo bacio”, colonna sonora dell’omonimo film. Una canzone struggente che parla di un ultimo bacio tra violini suonati dal vento e questa volta a tagliare l’anima è “il senso spietato di un non ritorno”. C’era una nuova Carmen adesso, una Carmen più dolce, più sensibile e più propensa ad esplorare nuove emozioni.

Nel 2002, a distanza di 3 anni dall’ultimo album di inediti, esce “L’eccezione”. È un album che non mi piace perché non mi rivedo più nei suoi testi. Carmen ha intrapreso un percorso diverso dal mio che ancora resta ancorato a retaggi di rabbia interiore che non smette di uscire. Adesso lei parla di rinunce, parla di ferite alle quali si reagisce con la malinconia mentre l’introspezione dei primi tempi oramai sembra così lontana.

Ignoro quasi del tutto l’ultimo album del 2006, “Eva contro Eva”, di cui ascolto sfuggevolmente qualche brano alla radio. Ma a marzo del 2007 Carmen Consoli approda nuovamente al Metropolitan, con un doppio concerto tutto suo e per fare felice il mio fidanzato gli regalo 2 biglietti per lo spettacolo. Eccoci di nuovo qua, al Metropolitan, come 10 anni fa, ma stavolta il pubblico è venuto per lei, per ascoltare la “Cantantessa” e per cantare a squarciagola le sue canzoni. Canta molti dei suoi brani più recenti che io non conosco e i più vecchi sono riarrangiati in chiave più teatrale. C’è poco spazio per la chitarra elettrica che un tempo faceva da padrona alla sua musica, ma questi nuovi arrangiamenti danno un’aria più “gitana” alle sue canzoni e l’atmosfera è molto bella. Lei poi è bravissima, sa tenere il palco, sa coinvolgere e soprattutto trasuda sicilianità in ogni atteggiamento. Una sicilianità che mostra con orgoglio, senza ostentazioni, senza forzature ma in modo del tutto naturale e che si fonde con la sua sensualità. È cambiata Carmen, adesso è una donna, una bella donna, e soprattutto è una grande artista.

A settembre si ripete, ma stavolta a piazza Magione, in un concerto gratuito offerto dalla Provincia. L’atmosfera è diversa da quella più raccolta ed intima del teatro, l’ambiente è più dispersivo ma lei interpreta lo stesso le sue canzoni con la forza e l’armonia che la contraddistinguono ed il pubblico numerosissimo ne resta ammaliato. Ed anche io in qualche modo ho “ricucito” il mio rapporto con la sua musica. I suoi nuovi brani non mi sembrano più così lontani da me, anzi li apprezzo e ne so cogliere le sfaccettature. Non canta più delle sua rabbia ma di storie di altre persone, storie di personaggi coraggiosi e un po’ anticonformisti (come lei), che nonostante tutto vanno avanti ed aspettano qualcosa…

Sì, il mio rapporto con la musica di Carmen Consoli si è ricucito perché Carmen Consoli canta da sempre le emozioni e ci riesce benissimo.


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venerdì, settembre 07, 2007

Correndo con le forbici in mano

Quando qualche mese fa avevo visto il trailer in tv avevo avuto l’impressione di una commedia brillante e molto fuori dal comune, capace di uscire fuori dagli schemi e proiettare lo spettatore per due ore in un mondo surreale e lontano ma allo stesso tempo vicino al nostro. Insomma un piccolo capolavoro mascherato da film di secondo ordine. Tuttavia per svariate ragioni non sono riuscita a vederlo al cinema. Ieri sera ero molto stanca e l’idea di uscire non mi aggradava più di tanto. L’unica cosa che poteva salvare la serata era affittare un film e così sono scesa al distributore più vicino. Rovistando tra i titoli sparsi sul touch screen alla fine è saltato fuori questo film che avevo dimenticato e così, ripensando all’entusiasmo di qualche mese fa, sono tornata a casa pensando di avere tra le mani qualcosa di molto interessante.

Fin dalle prime scene si capisce che c’è molta ironia nella trama anche se il ritmo è piuttosto lento. Ma è solo l’inizio, penso io, tra poco accadrà qualcosa di sconvolgente e la trama prenderà più velocità. E di cose sconvolgenti ne accadono davvero tante, credetemi, anche troppe ma il ritmo rimane lento e soprattutto molto, molto, molto fuori dal comune….

Il protagonista della storia è il giovane Augusten (che poi è l’autore del romanzo autobiografico da cui è tratto il film) che vive in una famiglia piuttosto problematica: il padre è un alcolizzato e finge di non avere un figlio; la madre è ossessionata dall’idea di diventare una scrittrice famosa ma si sente oppressa dal marito, e si affida totalmente alle cure del dottor Finch, uno psichiatra molto sui generis. Alla fine Augusten verrà abbandonato dalla madre e adottato dai Finch che lo accoglieranno nella loro strampalata casa.

Tutti i personaggi che ruotano attorno ad Augusten sono fuori di testa! A cominciare proprio dal dottor Finch che affronta la psicologia con un metodo del tutto personale e che legge messaggi subliminali persino nelle sue feci. Sua degna discepola è la figlia Hope che segue i consigli che il suo gatto le da durante il sonno. Di tutt’altra pasta è l’altra figlia Natalie che nella psicologia vede solo la manipolazione della gente per i propri scopi. A completare il quadro agghiacciante della vicenda ci sono la signora Finch, madre affettuosa che passa le giornate a vedere film dell’orrore e mangiare croccantini per cani, e il figlio adottivo Neil, gay e anche lui ossessionato dall’arte. In questa casa si vive alla giornata, senza programmi, perché tutto deve essere guidato dall’ispirazione quando arriva. E poco importa se a nessuno negli ultimi 2 anni non è venuta l’ispirazione di togliere l’albero di Natale o pagare le tasse.

Tutto materiale che potrebbe far pensare ad un film comico molto divertente, ma dopo 2 ore di proiezione in cui le labbra si sono mosse solo per sbadigliare viene da chiedersi: ma quando si ride in questo film?

Alla fine il sonno prende il sopravvento e così a stento comprendo la fine che faranno tutti i personaggi, con le loro scelte tanto impensabili quanto realizzabili.

Ma in qualche modo sono riuscita a cogliere la morale di questa storia (sempre che ci fosse davvero una morale da cogliere), ed ovvero quanto sia fragile la mente umana e quanto siamo facilmente suggestionabili da parole ed eventi. A volte abbiamo dei sogni ma non riusciamo a realizzarli e le motivazioni possono essere tantissime. È molto più facile dare la colpa agli agenti atmosferici, ai genitori che non ci hanno mai capiti e che ci hanno abbandonati, ai mariti troppo distratti che ci trascurano o ci opprimono, ad un mondo infame e bastardo, e a tutto il resto. Ma alla base di ogni malessere c’è l’ossessione, e l’ossessione porta solo verso la follia..

venerdì, agosto 31, 2007

La lunga estate calda

Dicevano che sarebbe stata l’estate più calda di tutti i tempi, come naturale conseguenza di un inverno fin troppo mite e di un innalzamento delle temperature medie stagionali che ormai da anni procede con ritmo incalzante. Ed effettivamente il caldo non è stato per nulla clemente, anzi i picchi di temperature toccate sono più che sconvolgenti. Eppure personalmente non mi sento di dire che questa estate sia stata così tremenda.

Abbiamo avuto un’ondata di caldo a giugno, quando il termometro ha abbondantemente superato i 40° e il consumo esagerato dei condizionatori ha fatto saltare il sistema di distribuzione di energia elettrica, forse troppo impreparato a gestire una situazione simile. Poi tutto è rientrato nella norma ed abbiamo vissuto un clima estivo regolare.

Poi abbiamo avuto un’altra ondata di caldo a luglio ma stavolta l’energia elettrica non è venuta a mancare e dopo pochi giorni ancora una volta tutto è rientrato nella norma.

E stiamo vivendo un altro periodo infuocato in questi giorni, a causa del vento di scirocco che ha portato aria calda ed afa. I metereologi assicurano che a breve anche questa ondata finirà e torneremo nella norma.

L’allarmismo quindi sollevato prima dell’estate forse era un po’ esagerato. Da come ci era stata prospettata la situazione avremmo dovuto vivere in un clima di caldo afoso per tutti i tre mesi estivi, quando in realtà, a parte i tre picchi di caldo sopra citati, l’estate si è consumata regolarmente, come tutte le estati. Allora mi chiedo: perché creare tanti allarmismi? Perché ci prospettano sempre una situazione disastrosa e senza rimedio?

Un recente sondaggio ha decretato che la maggiore preoccupazione della popolazione italiana è l’instabilità del clima e le sue drammatiche conseguenze. Forse è vero che la natura è impazzita, forse è vero che succedono cose strane, ma nessuno fino ad ora è riuscito a spiegarle in modo corretto, e più che dell’instabilità del pianeta mi preoccuperei delle informazioni allarmistiche che ci vengono sciorinate quotidianamente. È come se qualcuno ci godesse a farci stare tesi sulla corda dell’incertezza.

Ciò che invece mi desta maggior preoccupazione è il numero di incendi e le devastazioni che ne conseguono. Fino a qualche anno fa gli incendi si “limitavano” a bruciare ettari di boschi ma senza quasi mai intaccare le abitazioni. Da quest’anno invece molte case sono state distrutte, molte persone uccise e l’esempio della Grecia è forse il più emblematico. È come se la piromania si stesse diffondendo come una malattia infettiva e inducesse la gente a seguire le gesta di “colleghi” incendiari. Siamo arrivati all’assurdo: qualche giorno fa un tizio ha dato fuoco alla sua stanza d’albergo perché la sera precedente gli avevano servito una cena poco gradevole.

Ci sono i piromani che agiscono con scopi ben precisi, ma ci sono anche i pazzi. E questo è veramente preoccupante perché andiamo incontro ogni volta a stragi e distruzioni sempre più gravi.

Mi auguro che si faccia qualcosa per fermare questo massacro…



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martedì, agosto 28, 2007

Noto: una vacanza tra mare e cultura

Una zona incontaminata...
Forse fra qualche anno anche il cosiddetto “progresso” arriverà da queste parti portando con sé una buona dose di turismo di massa, ma per il momento la zona di Noto e dintorni, in provincia di Siracusa, resta un piccolo angolo di paradiso incontaminato, dove trascorrere delle vacanze rilassanti e culturali allo stesso tempo. Non è semplicissimo arrivare da queste parti: partendo da Palermo si percorre l’autostrada per Catania; una volta giunti al capoluogo etneo si prosegue per Siracusa fino a Cassibile, dove si interrompe l’autostrada e a questo punto ci aspettano 21 km di curve…
21 km di strada statale delimitata dai caratteristici muri a secco (realizzati con blocchi di pietre squadrate e poggiate le une sulle altre senza cemento o malta) e circondata da infinite campagne ancora selvagge ed aspre. Sparsi su questi terreni si trovano distese di coltivazioni di uva e pomodorini. Dopotutto siamo nella terra del pomodoro ciliegino di Pachino e del vino Nero d’Avola!

Il mare
Le spiagge, prevalentemente sabbiose, sono molto belle ed ideali per chi predilige la natura incontaminata e pulita alle spiagge attrezzate e affollate. Come non restare incantati di fronte alla Riserva Naturale di Vendicari, che va da Noto a Pachino, e che si presenta come una oasi di pace e tranquillità? La riserva è formata da una vasta pianura, caratterizzata dalla presenza di 3 grandi pantani di acqua salmastra, vero e proprio ristoro per gli uccelli migratori che vi fanno rotta nella stagione invernale, e da km di costa con acque caraibiche di rara bellezza.
Come per tutte le riserve naturali, raggiungere le spiagge non è semplice ed immediato, ma l’eventuale fatica è ampiamente ricompensata dalla bellezza. Mettete seriamente in conto che vi ci vorrà parecchio tempo prima di richiudere la bocca dallo stupore e non potrete fare a meno di costatare, per l’ennesima volta, che la natura è sicuramente la più grande artista in assoluto, capace di fondere armonia, bellezza e perfezione in un unico scenario. Una delle spiagge più accessibili è quella di San Lorenzo, la più a sud, caratterizzata da sabbia chiara e acqua cristallina. Ma la più bella è quella di Calamosche, raggiungibile dopo un lungo percorso a piedi di circa 20 minuti, che però apre le porte ad uno scenario fantastico.
Scendendo lungo la costa si incontrano altre spiagge interessanti, come Marzamemi con la sua suggestiva tonnara e Portopalo di Capopassero con la sua isoletta raggiungibile anche a nuoto. Ma la più interessante fra tutte le spiagge è sicuramente l’Isola delle Correnti, ovvero il punto più a sud di tutta l’Italia. In questa punta mar Ionio e mar Mediterraneo si incontrano, creando un fantastico gioco di acque: infatti, a seconda delle correnti, è possibile notare un litorale con acqua calma e piatta e un altro litorale con mare mosso. Per le sue caratteristiche questo posto è una meta ambita da chi pratica windsurf. L’isoletta, collegata alla terra ferma da una lingua di sabbia, è raggiungibile a piedi. Unico inconveniente il vento molto forte che impedisce anche di sdraiarsi sulla spiaggia. Ma se così non fosse non si chiamerebbe Isola delle Correnti!


Arte e cultura: il Barocco in Sicilia
Una vacanza in questa zona offre, oltre alle bellezze naturalistiche, anche altre bellezze di natura artistica da non sottovalutare. La cittadina di Noto, patrimonio dell’UNESCO, è un piccolo gioiello barocco che deve, paradossalmente, la sua bellezza al terremoto che nel 1693 la rase al suolo assieme a tutti i paesi circostanti. Migliaia morirono all’epoca e si fece molto per ricostruire la città in tempi brevi, a circa 4 km dal vecchio centro abitato. Lungo il viale principale di Noto, Corso Vittorio Emanuele, è possibile ammirare parecchie chiese interessanti, tra le quali spiccano il Duomo con la sua lunga e larga scalinata, il complesso benedettino composto dalle chiese di S. Salvatore e S. Chiara, la chiesa di S. Carlo e la chiesa di S. Domenico. Provate a passeggiare lungo questo viale la sera, con tutti gli edifici illuminati, i negozietti aperti e gruppi folkloristici che eseguono canti popolari siciliani ed avrete l’impressione di trovarvi in una capitale europea!
La città di Noto si caratterizza anche per delle importanti manifestazioni, come la festa di S. Corrado il 19 febbraio (accompagnata da una bella e coinvolgente processione) e l’infiorata che si tiene la terza domenica di maggio. Durante l’infiorata, in via Nicolaci, vengono composti dei mosaici con i petali dei fiori, creando delle composizioni molto belle e attirando migliaia di turisti. Ma se per caso, durante un caldissimo pomeriggio di agosto, vi capita di notare gruppi di persone che percorrono a piedi scalzi la statale, sotto il sole cocente, non vi preoccupate, non sono dei folli o dei malati di mente fuggiti da un manicomio, ma semplicemente devoti a S. Corrado e disposti a questa estenuante fatica per ricompensare il santo patrono dopo avere chiesto una grazia!
Altri luoghi da visitare in zona sono: Modica, Ragusa Ibla, Palazzolo Acreide, Sortino, Buscemi, i laghetti di Cavagrande e tanto altro ancora. Se poi amate il cioccolato, allora non potete non fare un salto all'antica cioccolateria Bonajuto che vi offrirà cioccolato squisito e aromatizzato...
Insomma un luogo ideale dove è difficile annoiarsi e dove ci si può stupire ogni istante sempre di più. Perché la Sicilia è una terra bella ed ancora selvaggia e racchiude in sé un patrimonio immenso che si va scoprendo poco alla volta.
Dove vi conviene alloggiare? Io vi consiglierei il B&B Sierra Vento che si trova su una collinetta a 10 minuti dal centro di Noto. Lontano dal caos, da questa collinetta è possibile ammirare un panorama mozzafiato che si prospetta davanti a tutta la costa e alla città. Da qui poi è abbastanza semplice raggiungere tutti i punti sopra citati e grazie alle indicazioni e ai preziosissimi consigli di Vincenzo ed Antonella, sarà ancora più semplice raggiungerli senza perdersi. Perché in questa zona i cartelli stradali non funzionano sempre al 100%...


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giovedì, luglio 12, 2007

Harry Potter e l'Ordine della Fenice

Genere: avventura
Durata: 142 minuti
Regia: David Yates
Cast: Daniel Radcliffe, Emma Watson, Rupert Grint, Jason Isaacs, Helena Bonham Carter, Robbie Coltrane, Ralph Fiennes, Michael Gambon, Brendan Gleeson, Gary Oldman


Tempi duri per il mondo della magia. Lord Voldemort, il signore oscuro, è tornato ed è pronto a radunare il suo esercito per prendere possesso del potere che aveva un tempo. Avevamo infatti lasciato Harry Potter, al termine de “Il calice di fuoco”, reduce dal faccia a faccia con il mago che ha cambiato il suo destino, tornato in vita grazie ad una magia nera. Ma il mondo della magia, memore di quanto accaduto 14 anni prima, non è pronto per accettare una notizia simile ed è per questo che il ministero intraprende una campagna diffamatoria contro Harry Potter e contro Silente, rei di voler impaurire inutilmente la gente per i loro scopi. Questa volta Harry Potter dovrà combattere contro un nemico ben peggiore di quanto potesse aspettarsi: la maldicenza. Saranno in molti a non credergli e a crederlo un pazzo, ma i suoi amici saranno sempre al suo fianco ed è in loro che troverà la forza ed il coraggio per andare avanti e per continuare la sua battaglia.
“Harry Potter e l’Ordine della Fenice” è il quinto episodio della serie più fortunata e seguita di tutti i tempi, l’episodio più oscuro, il più tetro, il più complesso. Ma se il romanzo risulta essere a tratti troppo lungo e farraginoso, il film è riuscito a snellire di molto la trama, rendendola molto più fluida e leggibile, anche se molte parti sono state ignorate ed alcuni personaggi e situazioni sono saltati o appena accennati.
Accanto ad Harry ritroviamo gli amici di sempre: gli inseparabili Ron ed Hermione, i migliori amici di Harry; i gemelli Fred e Gorge Weasley, ideatori di una serie di scherzi che vendono ai ragazzi della scuola; Ginny Weasley, non più la bambina timida del secondo episodio; Neville Paciock, imbranato ed ingenuo, che confesserà ad Harry la verità sui suoi genitori; Cho Chang, il primo amore di Harry ed anche la ragazza a cui darà il suo primo bacio; e Luna Lovegood, una ragazza un po’ strana e lunatica che però si rivelerà un’amica fedele e simpatica. Insieme ad altri amici formeranno l’esercito di Silente, per prepararsi ad affrontare le terribili cose che stanno per accadere.
Ma gli adulti non stanno a guardare e così fondano L’Ordine della Fenice, un’associazione che combatte contro Voldemort e contro i suoi seguaci, i Mangiamorte. A proteggere Harry questa volta, oltre a Silente, c’è anche Sirius Black, il padrino di Harry, costretto a nascondersi perché ritenuto un pericoloso assassino. Sirius è l’unico legame di parentela positiva che rimane ad Harry, ed anche l’unico che ha conosciuto molto bene i suoi genitori. I suoi consigli e la sua presenza saranno di continuo conforto. Dall’altro lato si introduce un nuovo e buffo personaggio: Dolores Umbridge, una donna mandata dal ministero per inquisire tutto ciò che viene fatto ad Hogwarts. La Umbridge è l’esatta contrapposizione di Silente e con i suoi metodi retrogradi tenterà di trasformare la scuola in un tribunale dell’inquisizione dove tutto è vietato, persino fare magie di difesa, poiché non c’è nulla da cui difendersi.
Non mancheranno le scene mozzafiato e spettacolari, tra le quali segnaliamo il volo notturno con le scope a Londra, l’uscita di scena dei gemelli Weasley e il combattimento finale che non lesinerà una dolorosa perdita.
Con questo episodio si ribadisce sempre di più che il tempo dei giochi, dei divertimenti e degli scherzi è ormai finito. La vita di Harry non è mai stata semplice ed ogni anno è stato costretto ad affrontare delle dure prove, ma da adesso in poi nulla sarà come prima perché il male sta prendendo il sopravvento e il destino di Harry è sempre più legato a quello di Voldemort.



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