mercoledì, settembre 19, 2007

L'albergo delle donne tristi

Titolo: L'albergo delle donne tristi
Autore Marcela Serrano

A Chiloè, un isola a sud dell’arcipelago del Cile, si trova un albergo molto particolare che offre ristoro a donne accomunate da un sentimento di fondo: la tristezza. Attraverso una serie di attività comuni ed individuali e soprattutto attraverso la catarsi, queste donne si liberano della loro tristezza e fanno ritorno alle loro case per riprendere la vita di sempre ma con uno spirito diverso.

Ma perché queste donne sono tristi? Il motivo sembra essere sempre lo stesso: gli uomini. Uomini che abbandonano le loro mogli per andare a vivere con donne più giovani; uomini che non si preoccupano neppure di mantenere i propri figli; uomini sempre più in difficoltà nei confronti della posizione della donna che diventa ogni giorno più forte.

Le donne infatti non sono più come un tempo. Oggi le donne studiano, lavorano, hanno carriere brillanti e ruoli di potere nella società; oggi le donne, nei rapporti con gli uomini, sono più decise, non aspettano il corteggiamento ma si fanno avanti, e anche nel sesso pretendono avere un ruolo da protagonista. Per questo gli uomini si sentono spiazzati, confusi, incapaci di agire di conseguenza: da un lato vedono messo in discussione il loro potere e dall’altro non sanno come comportarsi per adattarsi a questa nuova condizione.

Protagonista di questo romanzo è Floreana, studiosa di storia ed autrice di alcuni libri, che finisce in questo albergo per dimenticare 2 episodi che la rendono particolarmente triste: la morte prematura della sorella minore a causa di un tumore e l’ennesimo abbandono da parte di un uomo con conseguente decisione di votarsi per sempre alla castità. Ma le intenzioni non sempre poi trovano riscontro con la realtà e ben presto Floreana si troverà a dover mettere fortemente in discussione il suo buon proposito.

Lo stile della Serrano è fluido e scorrevole come sempre, tuttavia c’è un senso di tristezza che avvolge ogni pagina di questo libro e lo rende veramente pesante. Certo visto le premesse del titolo non ci si poteva di certo aspettare un libro comico o in qualche modo divertente, però questa tristezza che finiamo quasi per toccare con mano è una tristezza intrappolata in se stessa, che quasi si compiace delle sue tragiche sfumature e non vuole trovare una via di fuga. Floreana poi non fa altro che piangersi addosso, autocommiserarsi, togliere ogni pregio alla sua persona per attribuirlo alla fortuna e al caso. Ben presto si accorgerà di non essere l’unica persona al mondo ad avere subito la “cattiveria” degli uomini perché l’albergo è pieno di donne che hanno storie anche più strazianti della sua. E ben presto si accorgerà che la cattiveria non è solo degli uomini, ma anche delle donne che sanno manipolare gli uomini a loro piacimento per il semplice gusto di fare del male.

L’unico vero motivo che alla fine spinge il lettore ad arrivare alla fine del libro è l’esito di una storia d’amore troppo combattuta ed imprigionata in mille paure e problemi.

Il finale è scontato .



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martedì, settembre 18, 2007

Gli Incredibili

Una normale famiglia di supereroi

U.S.A 2004
Di Brad Bird
Voci di: Brad Bird, Holly Hunter, Samuel L. Jackson

Come è difficile essere normali, specie quando normali non lo si è affatto. I Parr, almeno nelle apparenze, sono una tranquilla famigliola americana: Bob fa l’assicuratore mentre Helen cresce gli irrequieti figlioletti, Violetta, Flash e Jack Jack. Un quadretto familiare abbastanza delineato e standardizzato. In realtà i Parr sono dotati di super poteri che, tuttavia, sono costretti a nascondere perché il mondo non li accetta. E così, alle frustrazioni tipiche di ogni essere umano, come i problemi sul lavoro, i figli che litigano, i chili di troppo e la macchina che non va più bene, si aggiungono le frustrazioni derivate dall’impossibilità di essere se stessi. Se poi ci aggiungiamo il ricordo delle gesta passate, quando Bob (Mr. Incredibile), insieme ad Helen (Elasticgirl) e a tanti altri amici, sgominavano bande di criminali e salvavano la gente da mille pericoli, ecco che la quotidianità e la normalità diventano una condizione troppo pesante da mandare avanti. Ci vorrà il cattivo di turno, con le sue turbe mentali e le manie di grandezza a scombinare la tranquillità e a ricreare le condizioni di avventura necessarie per richiedere l’intervento dei supereroi.

“Gli incredibili” è il primo film della Pixar che ha come protagonisti degli umani. Il tema dei supereroi è molto caro agli americani, che ne hanno fatto un elemento di culto prima nel mondo del fumetto e poi in quello del cinema. Del resto la lotta tra bene e male ha sempre caratterizzato ogni produzione made in U.S.A., segno di una cultura che predilige molto i valori morali (l’integrità, l’onestà, la famiglia, l’amicizia) ma che risente troppo di manie di grandezza fin troppo evidenti. La storia, tra l’altro ben costruita, ha come intento quello di descrivere il mondo dei supereroi in modo più ironico e divertente, cercando di “umanizzarli” e di vederli alle prese con i piccoli problemi quotidiani. Il film, nonostante si tratti di un cartone animato, offre notevoli spunti di riflessione. Primo fra tutti il problema della diversità, con tutte le problematiche del caso a cui va incontro chi sa di uscire fuori dallo standard.

Da ciò ne consegue l’incapacità di accettarsi e il desiderio di cambiare la propria natura, sforzandosi invano e finendo per essere dei disadattati. Singolare, in tal senso, è il breve lungometraggio che precede il film, in cui una capretta prima si sente a disagio in mezzo agli altri, poi finisce per accettarsi e saltare allegramente fra le montagne. Come tutti i film di animazione che si rispettino, particolare importanza è stata data alla scelta delle voci. Nel cast americano spiccano i nomi di Holly Hunter e Samuel L. Jackson; in Italia, tra i nomi di spicco, ritroviamo Laura Morante che da voce ad Helen e Amanda Lear che da voce ad Edna, eccentrica stilista che veste i supereroi. Una curiosità: il personaggio di Edna è in realtà ispirato a Edith Head, costumista di moltissime produzioni. Un cartone animato che diverte sia bambini che adulti, senza cadere nella banalità.
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martedì, settembre 11, 2007

Carmen Consoli la cantantessa delle emozioni

La prima volta che l’ho sentita cantare dal vivo è stato nel lontano 1996. Il teatro Metropolitan di Palermo era gremito in ogni suo posto ed il pubblico attendeva con febbricitante attesa il concerto di Raf. Ma poco prima del concerto, da dietro le tende, comparve una ragazza con i pantaloni neri e la camicia verde, sola con la sua chitarra e senza neppure un palco. La riconobbi: era Carmen Consoli. Di lei si sapeva ancora poco: un apparizione a Sanremo e, nonostante il favore della critica, il successo del pubblico era ancora piuttosto lontano. Cantò 3 pezzi, con una grinta ed una rabbia in corpo impressionanti. Era come se lì davanti ci fosse l’uomo che per anni l’aveva fatta soffrire e lei le stava vomitando addosso tutto l’odio che aveva dentro. Certo che ne aveva di fegato la ragazza: non ebbe nessun timore reverenziale, non manifestò alcuna emozione nel cantare davanti ad un pubblico che stava aspettando un altro artista e tenne il palco con dignitoso distacco.

Poi nel 1998, dopo “Due parole” e “Confusa e felice”, uscì il suo terzo album, “Mediamente isterica”, e arrivò la consacrazione. L’album denunciava una certa maturità sia nei testi che nelle musiche: c’era la grinta e la rabbia di sempre, ma c’era anche una evidente femminilità ed una non indifferente sensualità che rendevano i suoi brani un mix esplosivo di passionalità e trasporto. Le parole non erano tenere, le storie che cantava denunciavano illusioni e tradimenti e le musiche erano forti e decise. Il tutto ovviamente accompagnato dalla sua voce inconfondibile e tagliente.

Non lo nego, era la mia cantante preferita. Diciamo anche che incontrò il mio favore perché a quel tempo stavo vivendo anche io una fase di rabbia esplosiva che tendeva ad uscire fuori e di femminilità che si manifestava poco alla volta nei miei stessi gesti. Sono andata a vederla cantare nuovamente dal vivo, ai Cantieri Culturali della Zisa, ed ho fatto un bagno di energia pura, assieme agli altri suoi fan.

Ma nel 1999 accadde qualcosa: il preludio alla svolta. Si presentò a Sanremo con il brano ”In bianco e nero”, dedicato alla madre e per la prima volta non c’era rabbia nei suoi testi, anzi, sembrava un ritorno sui propri passi. Questa volta Carmen non ce l’ha con qualcuno, ma anzi fa un analisi interiore del suo comportamento e si pente di tutte quelle volte in cui non ha ascoltato la madre e l’ha sentita per questo lontana. È un cambiamento radicale. Quella canzone non mi è mai piaciuta, forse perché mi aspettavo la Carmen graffiante di sempre ed invece mi trovavo di fronte ad una Carmen più rabbonita.

Quell’album, “Stato di necessità”, mostrava ancora tracce della sua rabbia in qualche brano, ma la canzone più bella, forse la sua più bella in assoluto, è “L’ultimo bacio”, colonna sonora dell’omonimo film. Una canzone struggente che parla di un ultimo bacio tra violini suonati dal vento e questa volta a tagliare l’anima è “il senso spietato di un non ritorno”. C’era una nuova Carmen adesso, una Carmen più dolce, più sensibile e più propensa ad esplorare nuove emozioni.

Nel 2002, a distanza di 3 anni dall’ultimo album di inediti, esce “L’eccezione”. È un album che non mi piace perché non mi rivedo più nei suoi testi. Carmen ha intrapreso un percorso diverso dal mio che ancora resta ancorato a retaggi di rabbia interiore che non smette di uscire. Adesso lei parla di rinunce, parla di ferite alle quali si reagisce con la malinconia mentre l’introspezione dei primi tempi oramai sembra così lontana.

Ignoro quasi del tutto l’ultimo album del 2006, “Eva contro Eva”, di cui ascolto sfuggevolmente qualche brano alla radio. Ma a marzo del 2007 Carmen Consoli approda nuovamente al Metropolitan, con un doppio concerto tutto suo e per fare felice il mio fidanzato gli regalo 2 biglietti per lo spettacolo. Eccoci di nuovo qua, al Metropolitan, come 10 anni fa, ma stavolta il pubblico è venuto per lei, per ascoltare la “Cantantessa” e per cantare a squarciagola le sue canzoni. Canta molti dei suoi brani più recenti che io non conosco e i più vecchi sono riarrangiati in chiave più teatrale. C’è poco spazio per la chitarra elettrica che un tempo faceva da padrona alla sua musica, ma questi nuovi arrangiamenti danno un’aria più “gitana” alle sue canzoni e l’atmosfera è molto bella. Lei poi è bravissima, sa tenere il palco, sa coinvolgere e soprattutto trasuda sicilianità in ogni atteggiamento. Una sicilianità che mostra con orgoglio, senza ostentazioni, senza forzature ma in modo del tutto naturale e che si fonde con la sua sensualità. È cambiata Carmen, adesso è una donna, una bella donna, e soprattutto è una grande artista.

A settembre si ripete, ma stavolta a piazza Magione, in un concerto gratuito offerto dalla Provincia. L’atmosfera è diversa da quella più raccolta ed intima del teatro, l’ambiente è più dispersivo ma lei interpreta lo stesso le sue canzoni con la forza e l’armonia che la contraddistinguono ed il pubblico numerosissimo ne resta ammaliato. Ed anche io in qualche modo ho “ricucito” il mio rapporto con la sua musica. I suoi nuovi brani non mi sembrano più così lontani da me, anzi li apprezzo e ne so cogliere le sfaccettature. Non canta più delle sua rabbia ma di storie di altre persone, storie di personaggi coraggiosi e un po’ anticonformisti (come lei), che nonostante tutto vanno avanti ed aspettano qualcosa…

Sì, il mio rapporto con la musica di Carmen Consoli si è ricucito perché Carmen Consoli canta da sempre le emozioni e ci riesce benissimo.


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venerdì, settembre 07, 2007

Correndo con le forbici in mano

Quando qualche mese fa avevo visto il trailer in tv avevo avuto l’impressione di una commedia brillante e molto fuori dal comune, capace di uscire fuori dagli schemi e proiettare lo spettatore per due ore in un mondo surreale e lontano ma allo stesso tempo vicino al nostro. Insomma un piccolo capolavoro mascherato da film di secondo ordine. Tuttavia per svariate ragioni non sono riuscita a vederlo al cinema. Ieri sera ero molto stanca e l’idea di uscire non mi aggradava più di tanto. L’unica cosa che poteva salvare la serata era affittare un film e così sono scesa al distributore più vicino. Rovistando tra i titoli sparsi sul touch screen alla fine è saltato fuori questo film che avevo dimenticato e così, ripensando all’entusiasmo di qualche mese fa, sono tornata a casa pensando di avere tra le mani qualcosa di molto interessante.

Fin dalle prime scene si capisce che c’è molta ironia nella trama anche se il ritmo è piuttosto lento. Ma è solo l’inizio, penso io, tra poco accadrà qualcosa di sconvolgente e la trama prenderà più velocità. E di cose sconvolgenti ne accadono davvero tante, credetemi, anche troppe ma il ritmo rimane lento e soprattutto molto, molto, molto fuori dal comune….

Il protagonista della storia è il giovane Augusten (che poi è l’autore del romanzo autobiografico da cui è tratto il film) che vive in una famiglia piuttosto problematica: il padre è un alcolizzato e finge di non avere un figlio; la madre è ossessionata dall’idea di diventare una scrittrice famosa ma si sente oppressa dal marito, e si affida totalmente alle cure del dottor Finch, uno psichiatra molto sui generis. Alla fine Augusten verrà abbandonato dalla madre e adottato dai Finch che lo accoglieranno nella loro strampalata casa.

Tutti i personaggi che ruotano attorno ad Augusten sono fuori di testa! A cominciare proprio dal dottor Finch che affronta la psicologia con un metodo del tutto personale e che legge messaggi subliminali persino nelle sue feci. Sua degna discepola è la figlia Hope che segue i consigli che il suo gatto le da durante il sonno. Di tutt’altra pasta è l’altra figlia Natalie che nella psicologia vede solo la manipolazione della gente per i propri scopi. A completare il quadro agghiacciante della vicenda ci sono la signora Finch, madre affettuosa che passa le giornate a vedere film dell’orrore e mangiare croccantini per cani, e il figlio adottivo Neil, gay e anche lui ossessionato dall’arte. In questa casa si vive alla giornata, senza programmi, perché tutto deve essere guidato dall’ispirazione quando arriva. E poco importa se a nessuno negli ultimi 2 anni non è venuta l’ispirazione di togliere l’albero di Natale o pagare le tasse.

Tutto materiale che potrebbe far pensare ad un film comico molto divertente, ma dopo 2 ore di proiezione in cui le labbra si sono mosse solo per sbadigliare viene da chiedersi: ma quando si ride in questo film?

Alla fine il sonno prende il sopravvento e così a stento comprendo la fine che faranno tutti i personaggi, con le loro scelte tanto impensabili quanto realizzabili.

Ma in qualche modo sono riuscita a cogliere la morale di questa storia (sempre che ci fosse davvero una morale da cogliere), ed ovvero quanto sia fragile la mente umana e quanto siamo facilmente suggestionabili da parole ed eventi. A volte abbiamo dei sogni ma non riusciamo a realizzarli e le motivazioni possono essere tantissime. È molto più facile dare la colpa agli agenti atmosferici, ai genitori che non ci hanno mai capiti e che ci hanno abbandonati, ai mariti troppo distratti che ci trascurano o ci opprimono, ad un mondo infame e bastardo, e a tutto il resto. Ma alla base di ogni malessere c’è l’ossessione, e l’ossessione porta solo verso la follia..