mercoledì, marzo 28, 2007

Come Dio comanda

Titolo Come Dio comanda

Autore Ammaniti Niccolò

Dati 495 p., rilegato

Anno2006

Editore Mondadori


Varrano è un piccolo centro abitato nel nord-est d’Italia, attraversato da un fiume, circondato da boschi che nelle notti di pioggia riversano fango lungo le strade. Ed in questo piccolo centro le vite dei suoi abitanti scorrono in modo sempre uguale: Rino vive di piccoli lavoretti e cresce da solo il figlio dopo che la madre lo ha abbandonato quando aveva 3 mesi; Cristiano non vede l’ora di terminare gli studi per mettersi a lavorare e comperarsi una Play Station; Danilo annega nell’alcol il dolore per la perdita della figlia e l’abbandono della moglie; Corrado tenta da anni di terminare il suo presepe ed a causa del suo comportamento strano viene considerato “lo scemo del villaggio”; Beppe fa l’assistente sociale e soffoca l’amore per la moglie del suo migliore amico; Fabiana è la ragazza più bella della scuola e trascorre tutto il suo tempo libero con l’amica Esmeralda. Sono vite apparentemente semplici ma che nascondono tormenti interiori e spesso si consumano ai margini della “normalità”. E mentre sognano un futuro migliore si arrabattano per sopravvivere il presente, travolti da mille pensieri molesti e cupi.

Ma una notte molto strana, in cui il cielo ha deciso di versare su Varrano tutta l’acqua del mondo, i destini di queste persone finiscono per scontrarsi, e più nulla potrà mai essere come prima. La gente, con la stessa miscredenza di sempre, chiede a Dio un segno, un “miracolo” e Dio questa sera sembra essere magnanimo ed esaudisce le loro preghiere, infischiandosene della loro stupefazione. Ma siamo così sicuri che ciò che l’uomo chiede lo aiuti veramente ad essere felice? Non sempre è così perché quando è l’uomo a creare il suo destino, allora si finisce per spezzare un equilibrio ed ogni cosa sembra impazzire.

A distanza di 5 anni da “Io non ho paura”, Niccolò Ammaniti torna a stupirci con un altro romanzo forte ed intenso, con un ritmo narrativo incalzante che tiene il lettore incollato alle pagine fino alla fine e lascia senza fiato. Protagonista (come sempre accade nelle storie di Ammaniti) un ragazzino di 13 anni, Cristiano, che vive in un contesto per nulla sereno, con un padre un po’ fuori dalle righe, in una casa dove praticamente manca tutto! Ma tra Cristiano e suo padre c’è un legame viscerale, un bisogno l’uno dell’altro, perché entrambi sanno di non avere nessuno al mondo e che senza l’altro nulla avrebbe più un senso. E sarà proprio il loro amore a salvare le loro vite.

Ammaniti scrive molto bene, è un abile intrecciatore di storie e di vite e questo lui lo sa benissimo, sempre più diventa consapevole di questa sua dote straordinaria. Tuttavia, forse questa sua consapevolezza, lo porta a volte ad eccedere, a diventare quasi prevedibile in alcune forme letterarie, come se volesse ripetere se stesso. La storia poi, sebbene molto intensa e originale, in alcuni tratti ci ricorda un po’ troppo situazioni analoghe ai romanzi precedenti. Vero è che dopo avere letto un romanzo così bello come “Ti prendo e ti porto via”, qualunque altra cosa può apparire banale al confronto, ma stavolta possiamo dire che il finale è più significativo, meno campato in aria e sebbene tante cose restano in sospeso, si ha l’impressione che tutto si sistemerà per il meglio perché l’amore ha trionfato.

Se in un libro cercate un momento di relax, allora ve lo sconsiglio fortemente. Ma se cercate emozioni forti, allora questo libro fa al caso vostro.

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venerdì, marzo 23, 2007

Il 7 e l'8

Un film di Valentino Picone, Salvatore Ficarra, Giambattista Avellino. Con Salvatore Ficarra, Valentino Picone, Eleonora Abbagnato, Barbara Tabita, Arnoldo Foà, Remo Girone, Consuelo Lupo, Andrea Tidona, Lucia Sardo, Tony Sperandeo. Genere Commedia, colore, 93 minuti. Produzione Italia 2006.

10 anni fa li potevi trovare in qualche sagra di paese a fare spettacoli gratis sul palco. Oggi riempiono le sale cinematografiche con uno dei film più attesi della stagione. Eccoli qui, Ficarra e Picone, coppia di giovani comici palermitani che si sono fatti strada da soli, passo dopo passo, grazie alla loro bravura, alla loro comicità che spesso si trasforma in ironica interpretazione della realtà, a battute sempre azzeccate che oltre a fare ridere fanno anche riflettere. Non è sempre facile passare dal cabaret di teatro alla televisione e non è altrettanto facile passare dalla televisione al cinema, eppure loro ci sono riusciti con grande disinvoltura e noi siciliani non possiamo che essere orgogliosi di questo.

Il loro intento era quello di fare un film che descrivesse Palermo come una città “normale”, dove non necessariamente occorre fare riferimento alla mafia e dove si può condurre una vita regolare, studiare all’università, lavorare, innamorarsi, sposarsi, avere dei figli e morire di vecchiaia. I due protagonisti, Daniele e Tommaso, sono due ragazzi che vivono in contesti diversi ma che un giorno finiscono per scontrarsi (nel senso più stretto del termine). Ben presto scopriranno di essere nati lo stesso giorno nello stesso ospedale e, collegando una serie di strane coincidenze, si accorgeranno che qualcuno ha scambiato le loro culle ed ha invertito i loro destini. Perché? Che cosa ha spinto un uomo a prendere il destino nelle proprie mani e ad invertire quello che sarebbe stato il corso naturale degli eventi? Solo il finale ci rivelerà questa verità e ci farà comprendere che mai nulla accade per caso.

A sei anni di distanza dal loro primo lavoro cinematografico, “Nati stanchi”, Salvo Ficarra e Valentino Picone tornano quindi sul grande schermo (questa volta anche come registi) con questo film che mostra subito la maturità raggiunta da questi ragazzi, la bravura nell’inserire le battute al momento giusto e di raccontare squarci di vita quotidiana, avvalendosi di personaggi abbastanza rappresentativi e dalle spiccate caratteristiche. Una commedia divertente e piacevole che finalmente da spessore a questo genere cinematografico che purtroppo in Italia spesso vede alternarsi pellicole scadenti e di basso livello. Quello che ci possiamo augurare è che questi due ragazzi continuino a lavorare sempre così bene e a farci ridere ma sempre con il cervello attivo.

Il cast si avvale, oltre che della presenza di spessore di Remo Girone, anche di molti tra i più popolari comici palermitani.


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martedì, marzo 20, 2007

Thank you for smoking


Thank you for smoking
U.S.A, 2005
di Jason Reitman
con Aaron Eckhart, Maria Bello, Cameron Bright, Adam Brody, Sam Elliott, Katie Holmes, William H. Macy, Robert Duvall, Rob Lowe

Se volete potete ostinarvi a definirlo un film politicamente scorretto solo perché per più di 90 minuti non si fa altro che dire che il fumo non fa male, che non esiste nessuna prova certa che provochi il cancro o altre malattie mortali, ma la vera essenza di “Thank you for smoking” è il suo modo di essere così dissacrante, ironico, divertente, cinico, acuto, tagliente e fortemente ispirato. Dopotutto durante tutta la pellicola le uniche sigarette che si vedono sono quelle stampate sui cartelli dove campeggia la scritta “Vietato fumare”.

"Le sigarette sono fighe, facili e danno assuefazione. Praticamente il lavoro è già fatto!" Almeno così la pensa Nick Naylor, portavoce e direttore delle pubbliche relazioni dell'Accademia di Studi sul Tabacco. Fondamentalmente lui è un lobbysta: il suo lavoro consiste nel parlare, nel negare l’evidenza e nell’avere sempre ragione, anche di fronte a ragazzini malati di cancro o a senatori pronti a far stampare sui pacchetti di sigarette il teschio simbolo di morte. Ed il suo lavoro lo svolge magnificamente. E che importanza ha se ciò che devi difendere provoca la morte di 1200 persone al giorno solo negli Stati Uniti? Anche il peggiore degli assassini ha diritto ad essere difeso da un avvocato.

Nick è un personaggio particolare, che ha fatto del parlare un’arte e che si confronta con i suoi due migliori amici, rappresentanti di società di armi e di alcool: un gruppo che si autodefinisce “mercanti di morte” e si perde in discussioni spesso davvero disarmanti come quando fanno a gara su chi procura più morti in un anno. E ancora, per fronteggiare il calo di vendite, è disposto ad andare nelle scuole e a spiegare ai ragazzini che non si deva pensare che fumare fa male solo perché molti lo dicono, ma bisogna provare e poi scegliere, secondo la propria testa, secondo la propria coscienza.

Addirittura è pronto a finanziare un film che mostri personaggi positivi, come Brad Pitt e Catherine Zeta Jones, intenti a fumare e a dare l’aria di essere vincenti, come faceva il buon Humphrey Bogart quando il cinema si faceva spazio nel mondo. Il film è destinato a diventare celebre per delle frasi molto azzeccate e ad effetto, come "La morte ci toglie clienti. Noi vogliamo il cliente vivo e fumatore" oppure "Esponi una tesi, argomentala in modo convincente, e non sarai mai in errore".

Ma “Thank you for smoking” ha suscitato un certo scandalo negli Stati Uniti anche per la scena di sesso con Katie Holmes, la “signora Cruise”. La Holmes interpreta una giornalista ambiziosa e priva di scrupoli, capace di tutto pur di scrivere un bell’articolo e avere successo. Anche lei è vittima del cinismo che avvolge tutti i personaggi del film ed anche lei, dopotutto, ha un mutuo da pagare. Assolutamente da vedere.

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sabato, marzo 10, 2007

In memoria di me

Un film di Saverio Costanzo. Con Christo Jivkov, Filippo Timi, Marco Baliani, André Hennicke, Fausto Russo Alesi, Alessandro Quattro. Genere Drammatico, colore, 115 minuti. Produzione Italia 2006.

Dopo il successo al festival di Berlino esce in Italia “In memoria di me”, secondo lavoro del regista Saverio Costanzo”, che narra il percorso formativo di un giovane che decide di diventare prete. Andrea è un giovane benestante che nella vita ha sempre avuto tutto quello che voleva, ma non è mai riuscito a trovare quello che realmente desiderava: l’amore. Convinto che non fosse nei beni materiali ma in quelli spirituali la vera essenza dell’amore, decide di abbandonare tutto per cercare se stesso in un convento gesuita nell’isola di San Giorgio a Venezia.

Il film, con i suoi ritmi lentissimi, animati da continui silenzi e da sguardi emblematici, vuole raccontare la vera essenza del percorso formativo di questi giovani: un percorso formativo duro, che serve a testare la veridicità della fede e che passa attraverso gesti quotidiani semplici ma ripetitivi, attraverso preghiere e letture sacre, attraverso meditazioni spesso strazianti e difficili.

La sensazione finale che si ha, al di là della difficoltà oggettiva a seguire un film volutamente lento e pesante, è un senso asfissiante di claustrofobia. Tutto il film si svolge all’interno di questo convento fatto di ambienti essenziali, di piccole stanze quasi prive di arredamento, di giardini senza fiori, di aule spoglie e di sale da pranzo in cui si mangia in totale silenzio. La maggior parte delle scene sono state girate all’interno di un lungo e largo corridoio, alla fine del quale un’ampia finestra da la visione del mondo esterno, fatto di navi da crociera che transitano, di fuochi d’artificio sparati nei giorni di festa e di luci di una città che sembra così lontana ed irraggiungibile. Il senso di claustrofobia viene alimentato da questo senso di vita che scorre all’esterno mentre all’interno rimane tutto uguale in eterno. Nell’unica scena girata fuori dal convento si viene assaliti da un senso di smarrimento e di paura.

Film difficile da apprezzare, anche perché le sensazioni iniziali, al termine della pellicola, sono di quasi totale stordimento a causa del ritmo asfissiantemente lento. Il silenzio meditativo, necessario ai futuri sacerdoti per mettere alla prova la propria fede, finisce per coinvolgere anche lo spettatore che viene indotto a riflettere a sua volta, come se si trovasse nello stesso luogo con i protagonisti. a vivere, giorno per giorno, il ritmo sempre uguale delle giornate. La trama offre pochi spunti e la quasi totale assenza di colpi di scena ci mette di fronte alla verità: la vita religiosa non è semplice ma difficilissima e controversa. In molti, attratti dal desiderio di cambiare vita, pensano di trovare qui la risposta ma, incapaci di adattarsi a questo stile di vita così austero, vivono (e ci fanno vivere) il loro travaglio interiore e il disagio di chi si crede di non valere nulla nella vita.

Non so se consigliarlo o meno. Ma se avete bisogno di spunti di riflessione sulla vita religiosa allora questo film fa per voi.

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mercoledì, marzo 07, 2007

8 Marzo: Festa della Donna

8 marzo, festa della donna. Già, perché la donna è un essere preziosissimo al mondo e come tale va festeggiato. Molte sono le teorie relative all’origine di questa festa. Secondo l’ipotesi più accreditata, l’8 marzo del 1908 avvenne un fatto gravissimo negli Stati Uniti: un gruppo di donne operaie di una fabbrica, scioperarono per diversi giorni contro le pessime condizioni di lavoro. Il proprietario della fabbrica, tale Mr. Jhonson, stanco dello sciopero, appiccò un incendio, dopo aver chiuso tutte le uscite di sicurezza, e le 139 donne chiuse nella fabbrica morirono.

Molti sostengono che la festa della donna sia inutile (qualcuno si rifugia dietro a parole del tipo “le donne si festeggiano ogni giorno”), ma forse quello che più dobbiamo tenere in considerazione è che la condizione della donna è sempre stata soggetta (ed ancora lo è in molti paesi) a strane interpretazioni. Diciamoci la verità: la donna non è mai stata considerata alla pari dell’uomo e sebbene oggi abbiamo ottenuto la tanta agognata “parità dei diritti”, siamo ancora ben lontani dalla reale applicazione di questo principio.

Certo la nostra condizione oggi è paradiso in confronto a quanto lo era qualche anno fa. Ora possiamo lavorare e svolgere mansioni importanti che vadano al di là della pulizia quotidiana del bagno o della preparazione della cena; ora possiamo avere cariche importanti negli uffici ed avere uomini che prendono ordini da noi; ora possiamo intraprendere persino una carriera militare e guidare un esercito in guerra! Sono tante le cose che oggi possiamo fare e di questo siamo estremamente felici, ma la cosa più triste sapete quale è? È che ci sono volute delle leggi affinché tutto questo avvenisse. Sarebbe bastato un po’ di rispetto ed una naturale valutazione della condizione umana per arrivare magari agli stessi risultati, ed invece ci sono volute dure lotte e leggi appropriate.

Perché?

Perché esiste una società patriarcale così forte e radicata?

Una cosa non la possiamo negare: siamo diversi. E se Dio ci ha creati così, un motivo logico ci deve essere. È giusto considerarci diversi perché sarebbe da stupidi negarlo, ma alla fine siamo tutti esseri umani, e come tali abbiamo gli stessi diritti. Io personalmente ho dovuto faticare parecchio per avere un po’ di libertà dai miei genitori: mentre i miei fratelli uscivano tranquillamente e tornavano quando volevano, a me erano negate tantissime cose e l’unica risposta che mi veniva fornita era: “Ma tu sei donna”. E quando cercavo di avere maggiori chiarimenti mi si parava davanti sempre un muro di gomma sul quale rimbalzavo a cadevo facendomi male. Possiamo fare tutte le leggi di questo mondo, ma non possiamo cambiare la mente delle persone e l’unica nostra speranza è che solo con gli anni si possa cambiare, in modo graduale e naturale.

Per questo ritengo che la festa della donna sia una festa giusta: perché dobbiamo ricordare come eravamo un tempo, come siamo adesso e come diventeremo in futuro. È giusto ricordare ed è giusto continuare ad andare avanti.

Poi però ci sono le modalità di festeggiamento, e su quelle ci sarebbe molto da dire. Qui purtroppo il business ci ha messo molto di suo e sono stati creati tutta una serie di rituali di tutto rispetto.

L’8 marzo, per molte donne, è l’unico giorno dell’anno in cui finalmente si può mettere piede fuori di casa! Basta girare per strada la sera e ci si accorge di essere circondati da macchine piene zeppe di donne, con diverse generazioni al seguito: dalla nonna alla nipotina, dalla zia alla cugina, dalla vicina di casa alla semplice conoscente. Tutte le donne si riuniscono per andare a divertirsi. Come? Qualcuna si limita ad una cena in un locale stracolmo di donne ululanti, vestite come se dovessero andare ad un matrimonio, con scollature improbabili e capigliature da fare invidia a Penelope Cruz in “Non ti muovere” (film bellissimo che consiglio a tutti di vedere…). Qualcuna osa di più: assistere ad uno streep maschile. Già, perché se per tanti anni le donne sono state costrette a spogliarsi per compiacere gli uomini, non vedo perché oggi non si possa fare il contrario. Se proprio devo dirla tutta non ho mai partecipato ad uno di questi spettacoli e quindi non so come vadano esattamente le cose, ma di certo l’idea di vedere un uomo supermuscoloso che si spoglia per tante donne e per soldi, non mi aggrada per niente. Preferisco un uomo, magari con un po’ di pancetta e senza tanti muscoli che però si spoglia solo per me. Mi sembra molto più eccitante e appagante.

Ed allora, mie care donne: festeggiamo questo giorno perché è giusto farlo, ma non umiliamoci così tanto. Lasciamo che siano gli uomini a farlo, dopotutto a loro riesce naturale…



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lunedì, marzo 05, 2007

L'amore ai tempi del colera

Dopo aver impiegato 4 anni per leggere “Cent’anni di solitudine” (libro che è valso al suo autore l‘assegnazione del premio Nobel per la letteratura nel 1982) non avrei mai pensato di prendere tra le mani un altro romanzo di Gabriel Garcìa Marquez, ed invece, affascinata dalle parole della mia amica Betty che me ne ha parlato assai bene, sono corsa in libreria per comperare “L’amore ai tempi del colera”. Questa volta ci ho impiegato 3 mesi per finirlo (tempo ancora piuttosto lungo ma forse necessario per riuscire ad assimilare una storia così intensa che è entrata dentro di me a poco a poco), ma devo ammettere che ne è valsa assolutamente la pena. Al centro della vicenda, che si svolge nella zona calda ed umida dei Carabi, 3 persone, legate tra di loro dall’amore.

Come si fa ad amare una donna per più di 50 anni, aspettarla con pazienza, corteggiarla con delicatezza e sacrificare la propria esistenza in attesa che arrivi il giorno propizio in cui lei finalmente dirà di sì? ebbene tutto ciò accade in questo romanzo che è si una storia d’amore, ma non è il solito amore melenso e sdolcinato, o quello condito da tragici eventi che avvicinano ed allontanano i protagonisti, bensì un amore intenso, passionale, sincero e vissuto a tal punto da avvertire sintomi simili a quelli generati dal colera.

Fiorentino Ariza, Juvenal Urbino e Fermina Daza sono tre persone molto diverse, ognuno con la propria personalità, fierezza, orgoglio, fermezza, moralità ed impegno. Le loro vicende si intrecciano, le loro esistenze vengono condizionate da incontri casuali che cambiano il corso della vita; da scelte più o meno giuste che portano a determinate conseguenze; da errori di valutazione che generano malesseri e ripensamenti. Il tutto si svolge in una terra condizionata da un clima caldo e poco vivibile, da una nazione devastata da continue guerre civili, da un periodo storico a cavallo tra l’800 ed il ‘900, che appena si affaccia al progresso e alla modernizzazione.

Come in tutte le storie scritte da sudamericani, e soprattutto come in tutte le storie di Marquez, la passionalità, il trasporto, l’intensità e il calore, sono elementi che si toccano con mano, pagina dopo pagina, attraverso le lunghe e minuziose descrizioni, attraverso parole forti, a volte anche dure, ma che penetrano dentro l’essenza delle cose, senza lasciare nulla all’interpretazione.

Un romanzo di non facile lettura, ma indubbiamente un capolavoro assoluto ed indiscutibile.



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