venerdì, giugno 25, 2010

L'Italia in Sudafrica gioca il pegiore mondiale della storia


Diciamoci la verità: quella che stiamo per narrare altro non è che la cronaca di una disfatta annunciata, perché lo sapevamo tutti che in questo mondiale l’Italia non avrebbe combinato niente di buono. Quello che non sapevamo (e che nessuno si aspettava) è che si sarebbe trattato del peggiore mondiale della nazionale nella storia. Una catastrofe senza precedenti.
L’intera
seconda gestione Lippi è stata assolutamente disastrosa ed era abbastanza evidente già da diverso tempo, a cominciare dalle qualificazioni in cui abbiamo stentato persino contro Cipro (perdevamo 2-0 a Parma e siamo stati salvati da una tripletta di Gilardino negli ultimi 10 minuti di gara). Ragion per cui la spedizione azzurra in Sudafrica è stata accompagnata da poco calore e scarsissima fiducia e assenza di entusiasmo da parte di tutti i tifosi. Sfiducia ampiamente recriminata e colpevolizzata da Lippi e da tutto lo staff che si è sentito profondamente offeso nell’essere trattato in codesto modo. Dopotutto eravamo i campioni del mondo!

Lippi, il vero trionfatore del 2006, che non aveva mai sbagliato una mossa, che aveva creato un gruppo granitico, che era riuscito a dare valenza ad ogni giocatore: si proprio lui, quello stesso Lippi così vincente, è stato l’artefice di questa figuraccia.

Dalle stelle alle stalle.
Dalla gioia di Berlino alle lacrime di Johannesburg.
Come è possibile che lo stesso uomo sia stato in grado di fare tutto questo?
Dopo il trionfo in Germania (trionfo strameritato per quanto dimostrato sul campo e negli spogliatoi) Lippi ha capito che la sua vittoria era figlia del gruppo ed è su questo che ha puntato.

Niente campioni, niente fuoriclasse, niente giocatori che potevano emergere dalla massa. Solo giocatori mediocri o discreti, umili, che non avrebbero mai protestato in caso di sostituzione e che non si sarebbero preso il merito di una vittoria. Insomma un gruppo formato solo da bravi ragazzi.
Ed è per questo che Cassano, Balotelli e Miccoli non sono mai stati presi in considerazione: personalità troppo forti ed accentuate che avrebbero sicuramente minato l’equilibrio delle altre forze in campo.
Spazio invece a giocatori che quest’anno non hanno ottenuto nulla e che avrebbero fatto forza sulla voglia di rivalsa.

Il gruppo c’è stato, i giocatori sono sempre stati uniti e solidali, l’impegno ce l’hanno messo, ma i risultati sono stati superscadenti. E la colpa non è loro. Perché è inutile stare qui a puntare il dito contro questi ragazzi che ce l’hanno messa tutta, che hanno dato quello che potevano. Non puoi pretendere 10 da chi ti può dare 5. Non puoi pretendere che giocatori, abituati a giocare in certi ruoli, si reinventino in poche settimane e facciano delle prestazioni ben al di là del loro solito. Che cosa potevano fare di più?
Le lacrime di questi ragazzi sono state autentiche e la delusione se la porteranno per tutta la vita e sono veramente dispiaciuta per loro. Sono stati buttati allo sbaraglio senza avere la preparazione adeguata a quanto stavano andando incontro. Certo qualcuno potrebbe dire che oramai il calcio italiano è finito, che non ci sono campioni, che la qualità è scadente. Ma non è così, i giocatori bravi ci sono. Peccato che sono rimasti a casa.

Prendiamo Cannavaro: nel 2006 era una vera forza della natura, correva, era su
tutti i palloni, non ne faceva passare neppure uno. Oggi è solo la brutta copia di quel fantastico giocatore che meritò il pallone d’oro. E non ditemi che non esistono altri bravi difensori in Italia.
Prendiamo Buffon: si ok ha il mal di schiena e non può giocare. Ma lo si sapeva da tempo. Ed allora perché portarlo? E perché non portare una valida alternativa?
Prendiamo Marchetti: bravo è bravo, ma che esperienza internazionale ha? Gli affidi la porta della nazionale e lui non sa reggere la pressione.
Prendiamo Pirlo: giocatore insostituibile, non esiste nessuno al mondo che fa il suo gioco. Ma esistono milioni di squadre che giocano senza un Pirlo. E ci riescono anche bene. Non si può basare tutto il gioco su di lui, non si può essere così insignificanti solo perché Pirlo si è infortunato. Occorrono alternative, non nei giocatori ma nel modo di giocare.
Prendiamo Iaquinta: quest’anno ha giocato pochissime partite e gli si affida tutto l’attacco della nazionale, mentre Pazzini, reduce da una stagione brillante, ha giocato appena 20 minuti in tutto il mondiale.
Prendiamo Quagliarella: è rimasto in panchina per tutto il tempo ed è entrato negli ultimi minuti della partita decisiva contro la Slovacchia ed ha segnato 3 gol: uno non è stato assegnato perchè respinto sulla linea e non si è capito se sia entrato o meno; uno è stato annullato per un fuorigioco dubbio; uno, bellissimo pallonetto da fuori area, ha ridato le speranze per gli ultimi 3 minuti di gara. Perché farlo entrare così tardivamente?
Ma hanno deluso tutti, troppo nervosi, troppo stressati, troppo al di sotto delle proprie possibilità.
Lippi si è preso tutte le responsabilità, e non poteva fare altrimenti. Abbiamo pagato le colpe della sua presunzione. Ci aveva detto di avere pazienza, di avere fiducia, di non disturbarlo nel suo lavoro e noi, scettici osservatori, non gli avevamo creduto però in fondo credevamo in lui e nel suo operato. Alla fine la delusione non è stata così grande, perché ce lo aspettavamo.
Certo l’esultanza al presunto gol del pareggio di Quagliarella ci ha fatti saltare tutti dal divano: avrebbe potuto essere la svolta non solo della patita ma di tutto il mondiale. Senza quel fuorigioco oggi staremmo a parlare di un’altra storia ma è andata così, ce lo meritavamo di andare a casa.
Prandelli non potrà che fare di meglio.

martedì, giugno 22, 2010

Ogni limite ha la sua pazienza


Fondamentalmente sono una persona calma: non mi arrabbio mai, non perdo la pazienza, sono serena e non reagisco alle provocazioni. Insomma sono per il quieto vivere e questo fa si che nelle situazioni di tensione io faccia spesso da paciere, senza schierarmi né dall’una né dall’altra parte, ma anzi cercando di fare ragionare le parti in causa. Devo dire che in passato (e lo dico con orgoglio) sono riuscita anche a salvare delle amicizie grazie al mio intervento.
In compenso la gente pensa di me che sono una persona fredda e distaccata e che me ne frego delle cose. Chissà, forse hanno ragione, o forse semplicemente evito di esasperare delle situazioni che per me sono gestibili.
Ma ogni limite ha la sua pazienza.
Il fatto che io non reagisca di fronte ai problemi non vuol dire che le cose del mondo non hanno influenza alcuna su di me. Nella maggior parte dei casi non reagisco per evitare liti, ma accumula oggi, accumula domani, prima o poi sta pentola di fagioli comincia a bollire e se non si toglie il coperchio rischia di esplodere e di fare parecchi danni.
A quel punto le cose sono 2: o prevale in me ancora un barlume di razionalità che mi da la forza di alzare i tacchi, andarmene da un'altra parte, sfogarmi per conto mio e poi tornare quella di sempre, come se nulla fosse accaduto; oppure la razionalità si è bruciata sul fondo della pentola ed allora quello che può succedere può abbracciare un’ampia sfera.
A volte si possono dire o fare cose davvero terribili.
Ragion per cui chiedo con umiltà a chi mi conosce di non abusare troppo della mia pazienza. Se non reagisco non è perché sono ebete o deficiente. Ma se reagisco è perché sono umana anch’io.

venerdì, giugno 18, 2010

1000 km per delle buone pizze

Barbara è la mia soul sister. Noi non siamo sorelle di sangue ma lo siamo nello spirito. Però viviamo in due città diverse e molto lontane ed è per questo che vedersi è difficilissimo. Ultimamente è diventato difficilissimo anche sentirsi. Lei ha sempre mille impegni non ha mai tempo per chiamarmi o per scrivermi un’e-mail. Questo distacco mi pesa molto, mi mancano le nostre chiacchierate, mi manca anche il pensare che se avevo qualche cosa da dire la potevo dire a lei.
Ed è per questo che ho fatto questo sogno.
Ho sognato di andare a trovarla a casa sua. Un pomeriggio mi sono animata di buona volontà e mi sono fatta sti 1000 km a piedi. Arrivata davanti la porta di casa sono entrata senza bussare, tanto la porta era aperta. L’ho trovata che stava preparando delle pizze insieme a delle amiche. Lei è rimasta un po’ sorpresa dalla mia presenza ma ha continuato a fare le pizze senza chiedermi nulla. Io mi sono sentita un po’ in colpa, non so perché. Forse perché ero piombata a casa sua senza avvertirla e senza dirle nulla. Speravo fosse contenta di vedermi ed invece è rimasta impassibile.
Dopo un po’ sono arrivate tante altre persone e tutti attorno ad un grande tavolo abbiamo iniziato a mangiare. Le pizze erano molto buone, condite in vario modo.
L’unica cosa che sono riuscita a dirle sono stati i complimenti per l’ottimo cibo. Le ho detto che l’impasto era davvero buono, né troppo sottile né troppo spesso.
In tutto il sogno lei non mi ha rivolto la parola, ma solo sguardi che non sono riuscita ad intepretare.

mercoledì, giugno 16, 2010

Canon EOS 50D recensione

Sulla 50d si è scritto e detto di tutto, dalle opinioni più disastrose a quelle più entusiasmanti. Alla fine ho deciso di sposare la filosofia secondo la quale è impossibile prendere per buoni tutti i pareri ed agendo di istinto ho preso questa fotocamera.
Scelta azzeccatissima, perché la Canon 50d è un’ottima fotocamera, robusta, maneggevole, pratica, funzionale e completa e di ottima qualità.
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martedì, giugno 15, 2010

Sogni ricorrenti: gli esami di maturità

Di sogni ricorrenti ne faccio parecchi ed uno di questi riguarda l’ultimo anno di scuola alle superiori e gli esami di maturità.
Mi ritrovo tra i banchi di scuola ma non ho più 20 anni bensì l’età di adesso. Poiché lavoro ed ho tanti altri impegni, di tempo a disposizione non ne ho molto ed è per questo che non frequento regolarmente le lezioni. Ma sono tranquilla perché penso che questo sia un problema comune. Dopotutto anche tutte le mie compagne di scuola nel frattempo si saranno fatte una vita diversa. Ed invece non è così, anzi è come se per gli altri il tempo si fosse fermato e tutto fosse rimasto come allora, quando il loro unico impegno era la scuola e non avevano altre responsabilità.
Le guardo così indaffarate e così preparate e mi sento profondamente in imbarazzo perché io non ho avuto tempo di studiare e non so nulla.
La cosa peggiore è che gli esami di maturità si stanno avvicinando. Come farò ad affrontarli in modo decente? Come farò a studiare in poco tempo tutto ilo programma di un anno?
E mentre il panico mi sta divorando le budella, all’improvviso si accende una lampadina: io gli esami di maturità li ho già fatti a suo tempo e sono andati pure bene. Allora perché dannarsi tanto? Non ho bisogno di frequentare e non ho neppure bisogno di fare questi nuovi esami.
Finalmente scende la serenità.

Iniziano i mondiali ma senza entusiasmo


È inutile: qualunque cosa possa accadere oramai il calcio non mi entusiasma più. Non so se rallegrarmene o cadere nel malinconico. Dopotutto è la fine di un ciclo.
Ieri sera ho visto la partita con distacco, a tratti non l’ho neppure seguita e il risultato mi ha lasciata indifferente. Che fine hanno fatto i giorni in cui seguivo le partite in religioso silenzio e rivedevo le immagini decine di volte per capire dove avevamo sbagliato e dove eravamo stati bravi? Sembrano ricordi di un passato che non c’è più.
Eppure in questi giorni, rivedendo le immagini del mondiale del 2006, mi sono commossa. Quella fu una gioia vera, sincera, sentita e partecipe. Ma non so se questa commozione sia davvero legata all’evento oppure a quel periodo che non ritornerà più (per fortuna).
Chissà…

martedì, giugno 01, 2010

La penisola dello Yucatan: alla scoperta del mondo Maya

La penisola dello Yucatan, tra Messico, Guatemala e Belize. Un viaggio appasionante alla scoperta dei misteri dei Maya in una terra ricca di cultura e di soprese: le affacinanti e maestose piramidi Maya; la giungla con la sua flora e la sua fauna; lo splendore delle spiagge caraibiche; e soprattutto la gente, calorosa e sorridente, ma anche malinconica e spesso rassegnata.
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martedì, gennaio 05, 2010

La guerra di Troia - Capitolo 11 - Il sacrificio di Ifigenia

C’era una volta, tanto tempo fa, una bella principessa chiamata Ifigenia, che viveva nel suo splendido palazzo insieme alla madre, Clitennestra, ed al fratello Oreste. Il padre, Agamennone, re di Atene, era stato nominato generale supremo della flotta Greca, radunata appositamente per la conquista di Troia, e quindi si trovava in Aulide pronto a salpare. La sua fanciullezza, fatta di giochi e passeggiate con le ancelle, fu interrotta un bel giorno quando, un messaggero, veniva a portarle una richiesta di matrimonio nientepopodimenoche di Achille, figlio di Peleo e re dei Mirmidoni, il più bello, forte e coraggioso tra tutti i guerrieri greci. Quale migliore fortuna potrebbe desiderare una fanciulla? E quale migliore sorte potrebbe desiderare una madre per la propria figlioletta?
Madre e figlia, raccolte le proprie cose, montarono su una carrozza alla volta dell’Aulide, dove le navi erano ormeggiate in attesa di salpare e dove Achille era accampato insieme alle sue truppe.
Questa che sembra l’inizio di una bella e romantica favola d’amore, in realtà altro non è che il prologo di un terribile incubo, figlio di antichi sortilegi che gli dei non avevano mai dimenticato. Ad aspettare Ifigenia non c’era un Achille innamorato (che tra l’altro era all’oscuro di tutta questa situazione), né fiori d’arancio, né un velo nuziale. Ad aspettare Ifigenia c’era solo un’atroce menzogna ed un infausto destino pronto ad abbattersi su di lei. Ma per capire bene di cosa stiamo parlando forse è il caso di fare un piccolo passo indietro.
Nel capitolo precedente abbiamo lasciato la flotta greca, oramai al completo anche dei suoi più valorosi uomini, pronta a salpare dal Peloponneso con tutte le peggiori intenzioni sulla città di Troia. Ma dopo 9 lunghi e sfiancanti giorni di attesa nessuna delle navi era riuscita a prendere il largo. Motivo? Delle onde altissime rendevano il mare innavigabile. I pochi che si erano avventurati sfidando la furia delle acque erano stati o travolti o costretti a tornare con la coda tra le gambe. I soldati si annoiavano, il nervosismo cresceva a dismisura ed il sospetto che gli dei non approvassero questa missione cominciò a serpeggiare tra gli uomini. Che fare se non interrogare il più saggio tra tutti i saggi, il più indovino tra tutti gli indovini? E così fu chiamato Calcante il quale, con volto triste e rabbuiato, puntò il dito contro il re Agamennone, reo di avere offeso la dea della caccia Diana.
Tutto ebbe inizio un mattino quando Agamennone, durante una battuta di caccia, riuscì a prendere un capriolo con una tale maestria che si definì migliore della dea stessa della caccia. Ora non esiste persona al mondo che non sia a conoscenza della permalosità degli dei, e non che meno delle dee. Come può un essere mortale osare offendere a tal punto una divinità? Come può anche solo paragonare le proprie doti a quelle di un dio? Eppure Agamennone, accecato dall’orgoglio e dalla superbia, aveva commesso un grave errore e per questo doveva pagare. Ma la vendetta è un piatto che si gusta freddo, al momento giusto. Diana aspettò. E questo era ora il momento giusto.
Umiliato da una simile rivelazione Agamennone era pronto a scagliare tutta la sua collera contro Calcante, ma poiché ambasciatore non porta pena, tanto valeva interrogare ancora l’indovino e farsi dire come poter chiedere perdono e farla finita con quella farsa. Ebbene Diana, dea della caccia, per porre fine alla sua collera pretendeva un sacrificio. Ma non un agnello o un capriolo, come era usanza del tempo, bensì un sacrificio umano, e nella fattispecie il sacrificio della figlia primogenita di Agamennone, Ifigenia.
Va bene essere in collera, ma una richiesta così atroce fece rabbrividire anche i più insensibili e truci tra i soldati.
Schiacciato dal peso di una simile situazione il re di Atene fu preso dal panico: se avesse rifiutato il sacrificio avrebbe fatto una figura a dir poco barbina nei confronti dei suoi soldati; ma se avesse accettato avrebbe dovuto uccidere la sua amata figlioletta. E poi chi glielo andava a dire a sua moglie Clitennestra, che già mal lo sopportava, che dovevano sacrificare la figlia per amor patrio?
Alla fine la decisione fu presa, ma a macchiarsi di un simile misfatto il re di Atene non fu da solo: furono infatti gli altri generali a convincerlo ad inventare la storia del matrimonio.
Quando i protagonisti di questa farsa furono al corrente della verità, sensazioni differenti si alternavano nel loro cuore: Achille andò su tutte le furie, offeso nell’orgoglio, proprio lui che era sempre gentile con i più deboli, proprio lui che odiava la menzogna, proprio lui che era così puro di cuore, era stato coinvolto a sua insaputa in un’azione così meschina; Clitennestra avrebbe volentieri ucciso con feroce violenza il marito, reo di avere anche solo partorito un simile pensiero; Ifigenia invece fu invasa da amor patrio. Dopotutto questa guerra era una guerra giusta, se il soldati non partivano i troiani sarebbero rimasti impuniti e avrebbero continuato a rapire le donne a loro piacimento. Con un discorso commovente che strappò lacrime anche ai più duri di cuore Ifigenia andò incontro alla morte, diede una lezione di dignità a tutti e liberò le acque del mare dal loro sortilegio. Un gesto che commosse la stessa Diana che forse, resasi conto dell’atrocità della sua vendetta, sostituì la fanciulla con una cerva e poi la condusse in Tauride facendola diventare una sua sacerdotessa.
Tutto è bene quel che finisce bene, direte voi, ma le conseguenze di tale episodio non avrebbero tardato a farsi sentire sui suoi protagonisti con infauste conseguenze.