mercoledì, novembre 21, 2007

La guerra di Troia - capitolo 6 - La dinastia degli Atridi

Abbiamo lasciato Menelao felice come una pasqua perché era sposato alla donna più bella del mondo e perché era divenuto anche re di Sparta. Ma chi era veramente Menelao? Da dove veniva? Quale era il suo passato? E quali segreti agghiaccianti nascondeva la sua famiglia?
Se è vero che le colpe dei padri ricadono sui figli, per i greci queste ricadevano su tutte le generazioni future, senza fare sconto per nessuno. E la famiglia di Menelao aveva accumulato tante di quei crimini così infami e così brutali (che svariano dal fratricidio al patricidio, dallo stupro all’incesto) che ci sarebbero voluti millenni per espiarle tutte.
Se siete deboli di cuore o di stomaco, se non amate le storie truculente e sanguinolente, allora vi consiglio si saltare interamente questo capitolo, perché la storia che sto per raccontarvi è forse tra le più atroci e terrificanti che si siano mai raccontate nel mondo dei Greci. Se invece, spinti dal coraggio o dall’incoscienza, volete continuare a leggere, allora vi auguro fin d’ora un bel “In bocca al lupo”!
Tutto ebbe inizio con il bisnonno Tantalo che se si fosse chiamato Tontolo nessuno avrebbe notato la differenza. Il poveretto aveva invitato tutti gli dei dell’Olimpo a cena a casa sua ma quando si accorse che il cibo era insufficiente ebbe la geniale pensata di cucinare il figlio Pelope per ovviare alla mancanza ed evitare una brutta figura. Ma poiché nulla sfuggiva all’occhio attento degli dei, l’inganno venne scoperto, Pelope riportato in vita e ricomposto esattamente come era prima e Tantalo condannato a patire la fame per l’eternità.
Crescendo Pelope si fece una vita per conto suo ma, essendo degno figlio di suo padre, finì anche lui per commettere una scemenza. Difatti chiese all’amico Mirtilo di truccare i carri con i quali poi vinse una gara decisiva per la conquista della mano della principessa Ippodamia e il trono di Micene e poi, temendo che l’amico rivelasse la verità, lo uccise come niente fosse. In punto di morte però Mirtilo ebbe il tempo di pronunciare le sue ultime volontà che altro non erano che maledizioni contro Pelope e contro tutti i suoi discendenti. E quando si trattava di maledire qualcuno, si sa, gli dei erano sempre ben disposti.
Atreo e Tieste, i figli gemelli di Pelope non erano certo ragazzini tranquilli e commisero tante di quelle atrocità che è quasi impensabile credere che fossero umani. Basti pensare che, ancora fanciulletti, si divertirono ad uccidere il fratellino Crisippo appena nato. Poi litigarono a morte per contendersi il regno e nel frattempo stupravano mogli e figlie proprie e dell’altro con una naturalezza quasi sconcertante. Le situazioni familiari di entrambi sono piuttosto intricate e complesse. Sappiamo per certo che Atreo ebbe due figli, Agamennone e Menelao, mentre Tieste violentò la figlia Pelopia ed ebbe da lei a sua volta un altro figlio che fu chiamato Egisto.
Ma l’apice delle nefandezze si ottenne quando Tieste rubò la moglie ad Atreo e da lì la ferocia della vendetta non conobbe più limiti.
Fingendo di perdonarlo Atreo invitò Tieste a cena ma anziché offrirgli capretti e agnelli, decise di emulare il nonno e gli cucinò i suoi figli. Non contento gli aizzò contro l’ultimo figlio rimasto vivo, Egisto, che non avendo mai visto in faccia il padre, avrebbe dovuto completare l’opera uccidendolo ed eliminandolo per sempre dalla faccia della terra. Ma Tieste riuscì a farsi riconoscere in extremis dal figlio e a quel punto Egisto, nel capovolgimento di fronte della situazione, si scagliò prima contro Atreo (che colto di sorpresa, fu ucciso al primo colpo) e poi verso i cugini Agamennone e Menelao, del tutto ignari della situazione. I due principi però riuscirono miracolosamente a scappare e a correre a più non posso fino ad arrivare a Sparta, dove sapevano che regnava un re giusto e mite: Tindaro.
Fu in quella occasione che Menelao conobbe Elena, se ne innamorò perdutamente, la corteggiò, riuscì a fare breccia nel suo cuore e la sposò. E fu in quella occasione che Agamennone conobbe Clitennestra, sorella di Elena, se ne innamorò, ricevette da Tindaro la possibilità di riprendersi il suo regno e, tornato come vincitore, la sposò.
Ma da quelli che sembravano due buoni matrimoni sarebbero venute tante di quelle disgrazie per i greci che ancora oggi le narriamo con il pathos che giustamente meritano.


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martedì, novembre 13, 2007

Claudio Santamaria


Inizio col dire che non ho mai guardato una fiction in vita mia. A dire il vero la televisione la guardo solo per puro caso ed è difficile che io segua qualcosa con costanza. Le uniche cose che apprezzo sono le puntate trasmesse e ritrasmesse dei Simpson, alcuni telefilm su MTV (Scrubs, Lolle, Perfetti ma non troppo, ecc…) e nulla più. Quello che solitamente non amo nelle fiction è la scarsa capacità degli attori che viene accentuata dal ritmo lento e da un copione scontato.
Ma ieri sera mi sono imbattuta nella fiction su Rino Gaetano ed ho riscoperto un attore italiano bravissimo che avevo avuto modo di ammirare già al cinema: Claudio Santamaria.
La prima volta l’ho apprezzato per il ruolo dell’amico un po’ schizzato di Stefano Accorsi in “L’ultimo bacio”, quello che non riusciva ad accettare che la ragazza lo avesse mollato e cercava in tutti i modi di convincerla a tornare sui suoi passi. Poi l’ho rivisto con piacere in “Ma quando arrivano le ragazze” di Pupi Avati e in “Romanzo criminale”, film molto bello di Michele Placido, che può vantare un cast eccezionale.
Non me lo sarei mai aspettato di rivederlo in una fiction. Eppure ieri sera ho guardato la tv con piacere. Lui è bravissimo, si vedeva lontano un miglio che era nettamente al di sopra di tutti gli altri, teneva lo schermo da solo. È riuscito a trasmettere con intensità la solitudine di quest’ uomo, investito dal successo, circondato solo da persone che volevano sfruttare la sua popolarità, abbandonato dalla moglie stanca dei suoi cambiamenti di umore, stravolto dall’alcol.
Quello che solitamente non amo nelle fiction è la scarsa capacità degli attori che viene accentuata dal ritmo lento e da un copione scontato.

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venerdì, novembre 09, 2007

Visita forzata ad un sexy club

Ieri sera, piuttosto controvoglia, sono stata costretta ad andare in un sexy club per motivi di lavoro. No, non è come pensate! La verità è che dobbiamo realizzare il sito web del locale ed io ed i miei colleghi, armati di macchine fotografiche, siamo andati a fotografare le ragazze che si esibiscono durante lo spettacolo.
Non voglio esprimere giudizi sul locale, sul tipo di attività, sull’ambiente e tutto il resto, ma ci sono degli aspetti che mi sono rimasti abbastanza impressi e che mi lasciano perplessa.
Le ragazze avevano tutte degli atteggiamenti provocatori ed in particolare ce l’avevano con i miei colleghi maschietti. Vedendoli così timidi ne hanno approfittato per metterli in imbarazzo e proponevano, a chi faceva la foto migliore, un premio che consisteva in una notte con una di loro. Ora queste ragazze fanno così con tutti, ma proprio con tutti, ed i loro atteggiamenti, così come i loro movimenti e le loro parole, sono così scontati, banali, volgari e prevedibili che mi chiedo: ma davvero gli uomini sono attratti da queste cose? Davvero ci credono? Davvero sono così stupidi?
Forse il mio è un giudizio prettamente femminile e quindi abbastanza di parte, ma cosa ci può essere di attraente in una donna che ti palesa praticamente tutto, che si mostra con volgarità e abbondanza? Non è forse più attraente una donna che invece mostra poco ma lo fa con fascino e classe? Non è forse più bello il senso di conquista con una donna di un certo spessore?
Continuo a ripeterlo: il mio giudizio è personale e soprattutto femminile. È lo stesso giudizio nei confronti dei film porno che sono così finti e così privi di trasporto che mi lasciano totalmente indifferente. Ma davvero ci sono persone a cui tutto questo piace?
Mistero…

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lunedì, novembre 05, 2007

La guerra di Troia - capitolo 5 - Elena


Elena dai capelli color oro; Elena dagli occhi color del mare; Elena dalle bianche braccia; Elena dalle guance belle… Così gli aedi descrivevano Elena, la donna più bella del mondo, suscitando la curiosità di chi ancora non aveva avuto la fortuna di conoscerla. Che fosse bella non v’erano dubbi, tanto è vero che a qualcuno venne il sospetto che avesse origini divine.


Si vociferava infatti che Zeus, in una delle sue tante scappatelle, sedusse la giovane Nemesi, dea della vendetta, che nel frattempo si era trasformata in oca, trasformandosi lui stesso in cigno. Da questa unione aviaria fu fecondato un uovo che poi fu fatto scivolare nel ventre di Leda che alla fine partorì una bambina come fosse figlia sua e del marito Tindaro, re di Sparta. Secondo un’altra leggenda, Leda ebbe un contemporaneo rapporto con il marito Tindaro e con Zeus e da questo triangolo amoroso furono generate 2 uova: dal primo nacquero Elena e Clitennestra, figlie di Tindaro, dal secondo i Dioscuri Castore e Polluce, figli di Zeus.


Sebbene in molti sostengano che la bellezza sia un dono della natura, per Elena fu solo fonte di guai e disgrazie, sia per se stessa che per gli altri. La bellezza di Elena era tale che chi la vedeva sentiva il bisogno di possederla e non potendovi con le buone finiva per rapirla. Già all’età di 10 anni, Teseo e l’amico Piritoo la sottrassero indebitamente ai genitori e poi se la giocarono ai dadi. Vinse Teseo che però non ebbe il tempo di consumare il suo matrimonio grazie al provvidenziale intervento dei Dioscuri che riportarono Elena, viva e vegeta al padre.


Il povero Tindaro, che era un uomo abbastanza pacifico, pensava di avere risolto i suoi guai e si godeva la sua figlioletta, bellissima ed ancora vergine, in attesa che un principe ricco e potente venisse a bussare alla sua porta per chiederla in moglie. Ma alla sua porta non venne a bussare un solo principe, bensì tutti i principi della Grecia, ognuno dei quali offriva grandi doni in cambio della mano di sua figlia ed ognuno dei quali prometteva atroci vendette in caso di rifiuto. Sul volto di Tindaro il sorriso svanì ed al suo posto comparve un ghigno di preoccupazione che non lo lasciava più vivere. Perché aveva una figlia così bella che le dava tante preoccupazioni.? Perché la natura aveva voluto essere così magnanimo nei suoi riguardi?


La soluzione al problema gliela offrì proprio uno dei pretendenti, Ulisse re di Itaca. Ulisse non era bello, forte e ricco come tutti gli altri, però era furbo e scaltro e grazie alla sua astuzia riuscì più volte a risolvere intricate situazioni. Propose al re di far giurare a tutti i pretendenti eterna fedeltà a chiunque sarebbe stato il marito di Elena e addirittura di intervenire qualora essa fosse rapita. Ancora una volta il re di Itaca trovò la soluzione migliore al problema ma non sapeva che questa gli si sarebbe ben presto ritorta contro.


Per il re Tindaro ora era tutto più facile e poteva finalmente scegliere lo sposo per la figlia, ma ancora una volta non seppe prendere una decisione e lasciò il compito alla stessa Elena che fra i tanti scelse Menelao, un giovane mite, di buon cuore, leale, che in tutto quel tempo non l’aveva corteggiata né con tesori né con ricchezze ma con la dolcezza delle sue premure. Ah che romantico…


E mentre gli altri principi se ne tornarono a casa con la coda fra le gambe, pronti a rifarsi una vita con altre donne, Menelao si godeva la sua bellissima moglie ed il trono di Sparta, lasciatogli in eredità da Tindaro. Tanta fortuna che presto si sarebbe mutata in sventura.

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giovedì, novembre 01, 2007

Festa dei morti o Halloween



La Sicilia è terra ricca di tradizioni e feste popolari molto antiche che si tramandano da generazioni e che ne fanno una regione affascinante e allo stesso tempo misteriosa. Alcune di queste sono accompagnate da leggende e credenze che mescolano il sacro con il profano, la realtà con la fantasia. È il caso del 2 novembre, giorno dedicato alla commemorazione dei defunti, che da queste parti viene vissuto in maniera tutt’altro che triste, tanto da essere chiamato il giorno della Festa dei Morti. I cari defunti, che nell’immaginario collettivo sono cupi e addolorati, si trasformano in generosi e burloni e la notte tra l’1 e il 2 novembre abbandonando per qualche ora le loro eterne dimore, distribuiscono giocattoli, dolci e vestiti ai bimbi buoni, nascondendoli negli angoli più strani della casa. Al mattino ogni bambino inizia la sua frenetica corsa alla ricerca dei tanto attesi regali che di solito si trovano sotto il letto, sopra l’armadio, dentro i cassetti, ecc.. I maschietti generalmente trovano pistole giocattolo, robot, automobiline, trenini elettrici ed interi cantieri in miniatura; le femminucce trovano le classiche bambole che piangono senza il ciuccio, Barbie, cucine con tutto il pentolame al seguito. Poi tutti assieme si va al cimitero a portare fiori, a ringraziare i propri cari per la loro generosità e a ricordarli come quando erano in vita.

Un’antica tradizione questa, un tempo attesa più del Natale, che ancora una volta mette in luce lo spirito festaiolo e allegro che caratterizza i Siciliani e li contraddistingue in tutto il mondo. Ovviamente non può esistere una festa che non abbia delle specialità gastronomiche al seguito. Il dolce tipico per eccellenza è la frutta di martorana, detta anche pasta reale, realizzata con farina di mandorle e zucchero. Il nome di questo dolce deriva dalla chiesa della Martorana di Palermo, dove nel XII secolo le monache lo preparavano in occasione della festa di Tutti i Santi. Oggi i pasticceri hanno raggiunto livelli tali da riuscire a riprodurre fedelmente non soltanto frutta ma anche crostacei, panini con salame o panelle, piatti di spaghetti al sugo, talmente belli che sembra quasi un sacrilegio mangiarli. La frutta martorana viene in genere servita in grossi cesti, assieme a frutta secca e biscotti tipici, come i mustazzoli (ossa di morto). Oltre alla martorana esistono i pupi di zuccaru, vere e proprie bambole realizzate con zucchero e poi colorate a mano, che raffigurano paladini, personaggi dei cartoni animati e delle favole. Coloro che non amano i dolci possono stare tranquilli, perché anche il loro palato è accontentato. Difatti al mattino presto, in tutti i panifici, si possono trovare le muffolette, delle pagnotte da condire con pomodoro, sarde e cipolla e da mangiare ancora calde. In occasione della festa vengono allestiti dei mercatini dove è possibile trovare di tutto: dolci, giocattoli ed oggetti bizzarri e curiosi.

Eppure oggi se un bambino vestito da mostriciattolo viene a suonare alla porta brandendo la frase “Dolcetto o scherzetto” e pretendendo da noi dolci in cambio di protezione, o se veniamo invitati ad una festa in maschera in mezzo a streghe, vampiri e zombie, o se qualcuno arreda la casa con zucche vuote illuminate da una candela, quasi non ci facciamo più caso e accettiamo passivamente la trasformazione della Festa dei Morti in Halloween. Questa nuova festa, arrivata da noi dagli Stati Uniti grazie ai centinaia di telefilm made in U.S.A che popolano la nostra televisione, in realtà ha origini molto antiche e si fa risalire alla tradizione celtica del V secolo a.C. Secondo la leggenda, il 31 di ottobre gli spiriti dei defunti vagavano per la terra alla ricerca di un corpo da possedere per ritornare in vita. I celti, al fine di scoraggiare gli spiriti, spegnevano ogni fuoco, rendevano fredde le loro case e si abbruttivano il viso e il corpo. La tradizione è poi giunta in America nel 1840, quando gli irlandesi emigrarono verso il nuovo mondo. Oggi gli americani l’hanno trasformata in una festa in maschera, simile al nostro carnevale ma in versione horror, ed è un modo come un altro per ridere dell’idea della morte. Queste due tradizioni, generate dallo stesso principio ma sviluppatesi in maniera del tutto differente, ci mostrano ancora una volta quanto il mondo sia vario e allo stesso tempo bello. È giusto conoscere e capire gli altri, ma questo non vuol dire emularli a tal punto da dimenticare da dove veniamo e quali tesori possediamo già. Chissà se ci riusciremo.


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