sabato, ottobre 27, 2007

La guerra di Troia - capitolo 4 - La scelta di Paride

Che cosa è la felicità se non quella serenità interiore in grado di dare una valenza tale alle cose che ci circondano da non avvertire più il bisogno di nulla? E Paride si sentiva l’uomo più felice sulla terra perché aveva tutto: una moglie bella, tenera, affettuosa, dolce e premurosa; il monte Ida con i suoi fiumi, i boschi, i prati, l’erba e gli animali; le pecore da pascolare tutti i giorni al suono della sua musica. Ma il destino era pronto dietro l’angolo a capovolgere ogni cosa, pronto ad accendere il desiderio verso mete fino ad ora impensate.

E il destino si materializzò davanti agli occhi di Paride un giorno che sembrava uguale a tanti altri. D’improvviso gli apparve Ares, dio dalle ali alate, che gli propose di scegliere chi fra Era, Atena e Afrodite fosse la dea più bella dell’Olimpo. Superato l’iniziale spavento per l’apparizione improvvisa, il giovane Paride non poté fare a meno di rimanere pietrificato di fronte alla bellezza delle tre dee e gli parve di non avere mai visto niente di così straordinario in vita sua. Le tre dee, dal canto loro, vista l’indecisione del giovane, prima si spogliarono completamente nude, mostrandosi in tutto il loro splendore come si fa nei migliori concorsi di bellezza, poi decisero di utilizzare un’arma che fin dall’inizio dei secoli ha sempre dato i suoi buoni frutti: la corruzione.

Era, moglie di Zeus e quindi madre di tutti gli dei, fu la prima a farsi avanti e gli promise potere e ricchezza su tutta l’Asia e sul mondo intero. Atena, della saggezza e della guerra, per tutta risposta gli promise intelligenza e abilità in tutte le arti. Ma Afrodite, dea della bellezza e dell’amore, sapeva bene come riuscire a convincere un uomo, perché di fronte ai piaceri della carne non c’è nulla che tenga, né ricchezza, né potere, né fama, né gloria. E così gli promise l’amore di Elena, la donna più bella del mondo.

Di fronte ad una tale prospettiva Paride non seppe dire di no e subito le consegnò la mela. Afrodite, raggiante come non mai, si prese il suo bel trofeo mentre le altre 2 stizzite se ne tornarono con la coda fra le gambe, non prima di avere rivelato a Paride la verità sulle sue origini. La vita di Paride era sconvolta: che cosa ci faceva ancora lì sul monte Ida a pascolare pecore, lui che era un principe figlio di re? Perché continuare ad indossare abiti lisi fatti con stoffe grezze quando avrebbe potuto indossare vesti pregiate con finimenti dorati? Che cosa ci faceva ancora con una pastorella quando lui poteva avere l’amore di Elena, la donna più bella del mondo? Dico, ci pensate? La donna più bella del mondo, ed era sua, solo sua!

Quanto è fragile la felicità di un uomo, basta poco per trovare irritante tutto ciò che fino a quel momento ci aveva soddisfatti. Approfittando di alcune gare olimpiche Paride lasciò tutto e tutti, lasciò Enone che lo pianse per anni e anni, e raggiunse la città. Vinse tutte le gare ed alla fine rivelò al padre Priamo la sua vera identità. Priamo ed Ecuba, dimentichi dei motivi che li avevano spinti all’abbandono, riabbracciarono il figlio per farlo diventare un vero principe. Che ne era del sogno funesto fatto da Ecuba? Che ne era della previsione degli indovini? Solo Cassandra piangeva e si dimenava perché sapeva quale infausto destino si stava per abbattere sulla sua amata città, ma ovviamente nessuno le credeva.

Già Paride era bello di suo ma vestito come un vero principe faceva la sua porca figura! Tutte le fanciulle gli sbavavano dietro ma lui aveva una missione: trovare Elena e farla diventare sua moglie. L’occasione gli si presentò poco dopo. Infatti il padre lo mandò in missione per mari e quando seppe che Elena viveva a Sparta e che era moglie del re Menelao, si precipitò subito nella città greca per compiere il suo misfatto.



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martedì, ottobre 23, 2007

La guerra di Troia - capitolo 3 - La mela d'oro

Che cosa può desiderare di più un padre se non avere la certezza che il proprio figlio sarà l’uomo più forte e coraggioso del suo tempo e passerà alla storia per le sue gesta eroiche? Questo era ciò che attendeva Peleo, re dei Mirmidoni, perché la donna che stava per sposare non era una donna qualunque, ma addirittura una dea dell’Olimpo. Teti. E che dea! Qualcuno aveva osato affermare che fosse meglio di Afrodite, dea della bellezza. Ma sul destino di Teti incombeva una grave profezia: il figlio nato dal suo matrimonio sarebbe stato più forte del padre, e nessun dio se la sentiva di affrontare una simile onta.
Per consolarsi Teti trascorreva le sue giornate facendo il bagno nuda tra le acque spumeggianti del mare Egeo per poi riposare sulla spiaggia. Un giorno Peleo, che si trovava a passare da quelle parti, rimase abbagliato dalla bellezza della dea ed approfittando del fatto che dormisse le saltò addosso. Teti tentò di reagire, trasformandosi in tutte le creature marine possibili ed immaginabili ma alla fine anche lei cedette alla passione e si abbandonò all’amore di Peleo.
Quel giorno quindi sul monte Olimpo era gran festa perché si celebravano le nozze tra Teti e Peleo. Per l’occasione Zeus aveva invitato tutte le divinità, ma proprio tutte tutte. In effetti, se proprio la dobbiamo essere sinceri, qualcuno era stato escluso in modo del tutto intenzionale. Si trattava di Eris, dea della discordia. Ma come dare torto a Zeus? Eris era solita andare in giro vestita di stracci, con una benda insanguinata sull’occhio e vipere al posto dei capelli. Attorno a lei poi giravano sempre dei bambini sporchi, smorfiosi e irritanti che si chiamavano Odio, Dolore, Fame, Pena, Ingiustizia, Stento, Menzogna e Bestemmia. Insomma un vero disastro. Potete immaginare già da voi che non era proprio il personaggio più adatto ad un matrimonio.
Ma questa cosa ad Eris non era proprio andata giù ed anziché covare vendetta dentro di sé, decise subito di entrare in azione con una delle sue migliori performance. Prese una mela d’oro che cresceva tra gli alberi dei giardini dell’Olimpo, vi scrisse sotto “Alla più bella” e poi la lanciò sul tavolo, in mezzo a tutti i commensali. Immaginate la scena: attorno al tavolo ci sono tutte le dee dell’Olimpo, altezzose e superbe, ed ognuna di esse è bellissima ed ognuna di esse è convinta di essere la più bella in assoluto. Provate quindi a pensare che reazione può scatenare una cosa simile! Subito si levò un gran vociare ed alla fine Era, Afrodite e Atena, le più belle e le più altezzose, chiesero a Zeus di porre fine alla baruffa scegliendo a chi spettava quella mela d’oro.
Il povero Zesu, che in quanto a donne la sapeva lunga, con la fronte imperlata dal sudore freddo, comprese che qualunque scelta avesse fatto si sarebbe ritorta contro di lui e pensò bene di dare l’incombenza a qualcun altro, un uomo dall’animo nobile come quello di un principe e semplice come quello di un pastore. E chi meglio di Paride poteva assumersi un compito di tale entità?
Così sentenziò Zeus, padre degli dei, e mandò Ares, dio con le ali ai piedi, insieme ad Era, Afrodite e Atena sul monte Ida, alla ricerca di Paride.

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venerdì, ottobre 19, 2007

Un cane di nome Biagio

Effettivamente non è che sia il nome più adatto da dare ad un cane. Certo non dico cadere nella banalità con nomi come Fido o roba simile, però Biagio mi fa un po’ storcere il naso.
Dei miei amici una volta avevano un cane che si chiamava Achille e che non aveva nulla a che vedere con l’eroe greco. Innanzitutto l’Achille greco ebbe una vita breve ma gloriosa, mentre questo cane ha avuto una vita lunga e poco gloriosa. Io lo avrei chiamato “Il piccolo aiutante di Babbo Natale”, come il cane dei Simpson, perché era proprio stupido come lui!
Ad ogni buon conto stavamo parlando di un altro cane: Biagio. Ci tengo a precisare, non è mio. So che sto per dire una cosa altamente impopolare, ma io non amo gli animali. Cioè non li odio , ma non mi fanno simpatia. Voglio dire, ognuno di noi ha il suo habitat naturale e finche i due habitat stanno lontani per me va più che bene. Però mi piacciono i pesci, questo sì, e il mio sogno sarebbe un bell’acquario. Fino a qualche mese fa avevo due pesci rossi, Frodo e Sam, come i due hobbit del Signore degli Anelli. Sam era ciccione mentre Frodo più gracilino ed indifeso. Ma poi una mattina li ho trovati entrambi morti dopo 3 anni e la cosa mi ha addolorata parecchio.
Biagio invece è il cane della mia vicina di casa, una donna che poco conosce la discrezione. La conosco appena di vista eppure so tante cose di lei. So che ama indossare scarpe con i tacchi alti con le quali ogni mattina percorre chilometri lungo la sua stanza che guardacaso è proprio sopra la mia camera da letto; so che la sua migliore amica si chiama A. con la quale si intrattiene in lunghe ed animate discussioni al telefono dal balcone che guardacaso si trova proprio sopra il mio balcone; so che ha un fidanzato di nome M. con il quale convive da un anno e con il quale ha avuto una violenta lite un paio di settimane fa a seguito di un suo tradimento; e so che ha un cane, di nome appunto Biagio, che abbaia con la sua vocina petulante e acuta, assai simile a quella della sua padrona. È proprio vero, i cani somigliano ai padroni.
E tutte queste cose volete sapere come faccio a conoscerle? Semplice, perché grazie a lei passo notti insonni disturbata dai suoi perenni rumori.
Ah, dimenticavo: so anche quando si lascia andare in atteggiamenti più intimi…

martedì, ottobre 16, 2007

La guerra di Troia - capitolo 2 - Storia di Paride

C’erano una volta un re di nome Priamo ed una regina di nome Ecuba che regnavano felici sulla città di Troia ed avevano 50 figli. Anche se “ogni scarafone è bello a mamma soia”, gli stessi Priamo ed Ecuba convenivano col fatto che non tutti questi figli gli erano riusciti proprio bene bene. Per esempio c’era Esaco, un poveretto che dopo una delusione amorosa tentava il suicidio tutte le mattine alle 8 in punto, gettandosi da una scogliera che, essendo troppo bassa, gli provocava a malapena qualche escoriazione. Alla fine gli dei, stanchi dei suoi vani tentativi, decisero di fare un favore all’umanità intera trasformandolo in un uccello così poteva volare e non cascare più!

Poi c’era Cassandra, considerata da tutti una pazza visionaria perché blaterava su catastrofi imminenti che si sarebbero abbattute sulla città di Troia. Ma l’appellativo non era esatto. Cassandra sì aveva il dono della veggenza, ma nessuno le credeva. La giovane e temeraria figlia di Priamo, infatti, un giorno si trovava a passeggiare per il bosco quando si imbatté nel dio Apollo in carne ed ossa che ebbe l'ardire di farle una proposta indecente:

“Se accetterai di giacere con me, io ti regalerò il dono della veggenza”.

La bella Cassandra accettò con entusiasmo ma al momento di pagare il suo debito si tirò indietro ed il dio Apollo la punì: da quel momento in poi più nessuno avrebbe creduto alle sue previsioni. Una vera catastrofe non solo per la povera Cassandra ma anche per tutta la città di Troia che, se solo avesse creduto alle sue parole, si sarebbe risparmiata di essere rasa al suolo.

E poi c’era Paride, il principe più bello di tutta Troia, ma anche quello che diede più rogne ai genitori, ancora prima di nascere. Infatti si narra che la regina Ecuba, in uno dei tanti momenti in cui era incinta, ebbe un incubo: sognò che dalle sue viscere spuntavano fiamme che incendiavano tutta la città fino alla sua distruzione totale. In preda alle vampate di calore la regina chiese subito consiglio al marito il quale, di fronte ad un sogno di tale difficoltà, convocò il consiglio dei saggi.

Ora la tradizione vuole che i saggi siano tutti vecchi, con le barbe e i capelli lunghi e bianchi, tipo Gandalf del Signore degli Anelli, e le opinioni sempre in disaccordo. Ma questa volta non avevano dubbio alcuno: questo bambino sarebbe stata la rovina di Troia.

Percossi e attoniti di fronte alla nefasta notizia, i due coniugi convennero che forse era il caso di disfarsi del nascituro. Dopotutto di figli ne avevano già a sufficienza, uno in più o uno in meno che differenza poteva fare?

Alla nascita di Paride lo consegnarono al fidato pastore Agelao, pregandolo di abbandonarlo sulla cima del monte Ida. Il pastore eseguì l’ordine ma dopo alcuni giorni, recandosi sulla cima del monte, trovò il bambino vivo e vegeto grazie ad un’orsa che lo allattava amorevolmente. Il cuore tenero di Agelao si commosse di fronte a quella scena, comprese che il destino di quel bambino era di vivere e così lo allevò, insieme alla moglie, come fosse figlio suo. Ma non sempre il cuore tenero agisce nel modo migliore, perché a volte occorre avere il coraggio di sacrificare una vita per poterne salvare altre migliaia. Ma questo Agelao non poteva saperlo.

Il giovane Paride crebbe così convinto di essere un umile pastore figlio di pastori. Ma siccome era principe, e per i greci tutti i principi erano forti, belli e aggraziati, anche lui era forte, bello e aggraziato: imparò a suonare il flauto e mentre pascolava le pecore il suono della sua dolce melodia si diffuse per tutto il monte fino a giungere alle orecchie della giovane Enone. Ben presto sbocciò un tenero amore ed i due piccioncini si scambiavano continuamente effusioni: lei confezionava per lui corone di fiori e lui incideva sugli alberi frasi del tipo “Il giorno in cui Paride non avrà più bisogno di Enone i fiumi risaliranno la corrente”. Che teneri che erano!

Si sposarono ed erano veramente felici, ma il destino dietro l’angolo era già pronto a compiere il suo misfatto.



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venerdì, ottobre 12, 2007

La guerra di Troia - capitolo 1 - Le origini del mito

Questa storia potrebbe iniziare con un “C’era una volta un re di nome Priamo e una regina di nome Ecuba che vivevano felici nel loro regno di Troia ed avevano 50 figli”. Ma questa storia non è una favola, almeno non completamente, visto che grazie ad un pazzo scatenato di nome Schliemann possiamo affermare con cognizione di causa che la città di Troia esistette veramente e fu rasa al suolo dai greci dopo una sanguinosa e lunga guerra.

Non era tanto normale questo Schliemann! Da bambino gli regalarono un libro sulla mitologia greca, spiegandogli che però si trattava di pura legenda, senza la minima traccia di verità. E lui si appassionò così tanto che la sua unica ragione di vita divenne quella di dimostrare invece che non era tutta fantasia quella trascritta ma che quelle battaglie e quei personaggi erano esistiti veramente. Lavorò un po’ qua e un po’ là, mise da parte una fortuna ed un bel giorno partì alla volta dei Dardanelli con l’intenzione di scavare e riportare alla luce i resti di un’antica e fastosa civiltà. Ovviamente in Turchia gli risero in faccia pensando di trovarsi di fronte ad un malato di mente degno del miglior manicomio, uno che sposò una ragazza per corrispondenza solo perché era greca e che chiamò i suoi figli Agamennone e Andromaca! Come era possibile che le gesta cantate nell’Iliade e in mille altre tragedie greche, tramandate dai poeti dell’antichità, potessero essere vere? La ragione aveva prevalso sulla fantasia e nel corso dei secoli le aveva conferito il ruolo di pura follia.

Ma Schliemann tanto disse e tanto fece che, dopo un anno di estenuanti trattative, ottenne il permesso di effettuare gli scavi ed oggi possiamo ringraziare questo pazzo scatenato perché, per merito della sua testardaggine e della sua follia, sappiamo che la guerra di Troia è veramente esistita insieme a tutti gli eroi che la combatterono. Ma accettare che una guerra così sanguinosa possa essere stata combattuta solo per un motivo strettamente passionale è ancora troppo difficile da assorbire per la mente umana abituata a razionalizzare tutto, ed è per questa ragione che oggi affermiamo l’esistenza di due ipotesi relative alla guerra di Troia: una prettamente storica ed una condita con abbondante fantasia.

Quella storica riguarda una questione prevalentemente materiale. Troia infatti si trovava sullo stretto dei Dardanelli e ad ogni passaggio di nave per scambio di merci esigeva il pagamento di forti contributi. In poche parole anche allora si doveva pagare il pizzo e chi si esimeva incappava in feroci vendette… Per tale ragione i greci, stanchi di tali soprusi, decisero di intraprendere questa guerra.

Ma la versione storica è talmente priva di fantasia che quasi ci rifiutiamo di accettare e ci rifuggiamo in quella più appassionata che molti dei più famosi poeti greci ci hanno tramandato. Una storia bella, intensa, romantica, in cui prevalgono valori come l’amicizia, l’amore, il senso della patria, il desiderio di immortalità, ma anche il tradimento, l’inganno e la vendetta. Certo la civiltà moderna ci ha insegnato che ci vogliono motivazioni ben diverse per scatenare una guerra, come per esempio salvare il mondo intero dalla tirannia di un feroce assassino, ma per i greci bastava molto meno, anche un semplice tradimento amoroso!

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martedì, ottobre 09, 2007

Troy: che fine ha fatto l'ira funesta del Pelide Achille?

Probabilmente se uno non ha mai sentito parlare di mitologia greca e crede che Ulisse sia un delfino curioso goloso di caramelle ed Elena di Troia una giovane fanciulla che amava divertirsi come meglio poteva, allora forse potrebbe pure guardarsi in tutta tranquillità un film come Troy, trovarlo a tratti piacevole e pensare che quella sia la vera storia di una famosa e leggendaria battaglia. Ma non me la sento di lasciare questi poveri avventori alla deriva, non me la sento di farli vivere a lungo in questo feroce inganno, lasciandoli ignari della verità, ed è per questo che oggi mi assurgo a “moralizzatore” del cinema per poter affermare, con assoluta certezza, che il film Troy “è una cagata pazzesca”.

Passi pure che i film tratti da libri o da storie già esistenti non siano mai fedeli e si concedono qualche personalizzazione, passi pure che Achille, eroe greco, era biondo con gli occhi azzurri, però… però… però… Questo non è un film ma un oltraggio all’affascinante mondo della mitologia greca che tanto ho amato fin da piccola e che continuo ad amare con la stessa passione.

Certo che ne avevano di fantasia i greci. Visto che allora non c’erano né televisioni né radio né giornali, il racconto degli avvenimenti veniva affidato agli aedi, cantastorie e poeti del tempo, che amavano condire la realtà con una intrecciata serie di aventi mitologici che ben poco avevano a che fare con la realtà: battaglie strepitose, uomini forti e coraggiosi, e soprattutto gli dei che invece di starsene sul monte Olimpo a bere nettare, andavano ad importunare gli umani, consigliandoli o ingannandoli a seconda dei loro stessi desideri. Insomma delle divinità abbastanza umanizzate.

In questo film non c’è niente di epico: gli dei sono completamente assenti, al massimo nominati di sfuggita e persino ridicolizzati dalle interpretazioni bislacche degli indovini; la storia è talmente stravolta che si finisce completamente di perdere tutto il senso dell’Iliade ed i personaggi un po’ azzizzati per sembrare più cattivi o più buoni a seconda delle circostanze.

Potrei stare qui per giorni e giorni ad elencare tutti gli stravolgimenti avvenuti, ma praticamente dovrei rifare il film di sana pianta o raccontare per filo e per segno come è andata veramente (almeno secondo i greci che ne sono ancora convinti). Ma voglio soffermarmi sulla figura di Achille e sul suo interprete.

Diamo merito a Brad Pitt per l’impegno messo soprattutto nei duri mesi di palestra per avere il fisico muscoloso dell’uomo più forte della Magna Grecia, però la sua interpretazione è davvero penosa. Ma che fine ha fatto l’ira funesta del pelide Achille? Che fine ha fatto quel miscuglio di sentimenti che lo spingevano a combattere le sue battaglie. Sì, Achille era assetato di gloria e di fama, ma questo lo si capisce dall’infinito numero di parole spese per spiegare questo concetto; sì, Achille amava profondamente il cugino Patroclo ma questo si capisce solo dalla sua vendetta verso Ettore; sì, Achille era un tipo poco paziente che si infuriava facilmente, ma questo si capisce solo dal fatto che si nascondeva nella sua tenda e non andava in battaglia per fare un dispetto ad Agamennone. Per il resto l’unico sforzo interpretativo di Brad Pitt consiste nello spostare gli angoli della bocca o verso l’alto verso il basso, a seconda della tragicità delle scene. E poi basta. È talmente inguardabile che alla fine si sorvola persino sulla bellezza del suo fisico scolpito.

Potrei spendere altri fiumi di parole per parlare anche dell’altro divo di questo film, Orlando Bloom nei panni del pavido Paride. Ma qui è talmente pavido che già il ridicolo delle scene a cui è sottoposto basta da solo a spiegare tutto.

Perciò, oh voi poveri mortali che vivete all’insaputa della mitologia greca, non guardate questo film e se proprio volete sapere come è andata venite da me che, come un antico aedo, mi siederò su uno scoglio o su una pietra posta al centro di una piazza e sarò ben felice di raccontarvi come andarono veramente le cose.




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martedì, ottobre 02, 2007

Il dolce e l'amaro

Un film di Andrea Porporati.
Con Luigi Lo Cascio, Donatella Finocchiaro, Toni Gambino, Gaetano Bruno, Gioacchino Cappelli, Ornella Giusto, Emanuela Muni, Vincenzo Amato, Renato Carpentieri, Fabrizio Gifuni.
Genere Drammatico, colore 98 minuti. -
Produzione Italia 2007.

Ma Luigi Lo Cascio non era contrario alla mafia? Un momento, sto facendo un po’ di confusione. Quello che ricordo io era Luigi Lo Cascio che interpretava Peppino Impastato nel film “I cento passi”. Ah, che bello quel film e che bravo Lo Cascio: era riuscito a dare forza e personalità ad un personaggio così marcato, determinato, intransigente, coraggioso e fortemente condizionato dai suoi ideali. Un vero talento del cinema italiano che diventa anche motivo di orgoglio visto che è nato a Palermo. Tuttavia per lui, dopo “I cento passi” tanti altri ruoli in film che però non avevano la stessa forza emotiva del primo. Il cinema italiano ha questo grande divario: se da un lato sforna film molto belli ed intensi, dall’altro però ne sforna anche altri di qualità inferiore in cui spesso e volentieri viene a mancare una trama ben definita e quindi tutto il peso del film va a cadere su personaggi spesso privi di personalità. Difficile quindi per un attore riuscire a far emergere il proprio talento.
Ed ora me lo ritrovo in “Il dolce e l’amaro”, film di Andrea Porporati, girato quasi interamente a Palermo. Sinceramente, appena ho visto la locandina, ho subito pensato che si trattasse di un altro film pesante e farraginoso in cui per due ore ti struggi la mente cercando di capire il tormento interiore del protagonista fino a che decidi di arrenderti ed aspetti con pazienza la fine. Tuttavia in molti me ne hanno parlato bene e così, spinta dalla curiosità, sono andata a vederlo.
Eccomi qua, seduta a vedere un altro film girato a Palermo che parla di mafia. Sai che novità! Ed invece la novità c’è: è il primo film di mafia che fa ridere. Senza scomodare Coppola con il suo “Padrino” ci troviamo di fronte ad un film che è l’esatto opposto dei vari “Palermo Milano solo andata”, “Pizza Connection”, “Mary per sempre”, “Ragazzi fuori” o addirittura la saga televisiva de “La piovra”. Certo visto l’argomento c’è qualche sparatoria qua e là, qualche goccia di sangue che scorre, qualche regolamento di conti a scopo vendicativo ed una serie abbondante di tradimenti, però la mafia viene vista ed affrontata con ironia, con l’esaltazione di certi atteggiamenti che finiscono per essere comici e che ridicolizzano alquanto il termine di “uomo d’onore”.
E qui torniamo a Luigi Lo Cascio, che stavolta interpreta Saro, un delinquentello, figlio a sua volta di delinquenti, che si fa tutta la trafila nel mondo mafioso fino a fare “carriera” e diventare uomo d’onore. E ritroviamo l’attore talentuoso di un tempo, che sa dare grinta e forza ai suoi personaggi, che sa fare ridere, piangere, commuovere e gioire al momento giusto e che sa regalare le mille sfaccettature che ogni essere umano ha nel suo DNA. E soprattutto arriviamo alla morale del film che si legge negli occhi di Saro quando si accorge dell’inganno della sua vita: voleva essere un grande uomo ed invece è stato un uomo di niente. In fondo la vera grandezza la si trova nelle piccole cose, in quelle che rendono la vita “normale” e che comunque ci fanno stare acanto alle persone che ci vogliono bene.
Ma come, direte voi, la morale del film non sta proprio nel suo titolo, e quindi nel fatto che nella vita si possono fare mille scelte ma che da esse scaturiscono migliaia di conseguenze e che quindi occorre prendere sia il dolce che l’amaro? Si, vi potrei pure dare ragione, anzi ve la do volentieri, però per me, la grandezza di questo film, sta nella parabola di un uomo che finalmente trova la sua dimensione.


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