giovedì, febbraio 13, 2014

La guerra di Troia - Cap. 13 - Achille e Patroclo

Dopo la furibonda lite con Agamennone, Achille, ferito nell'orgoglio, aveva deciso di ritirarsi. Per quale motivo doveva continuare a combattere una guerra di cui non gli importava praticamente nulla e che tra l'altro aveva come capo supremo un uomo così spregevole, arrogante, presuntuoso ed egocentrico come Agamennone? Basta, fine del discorso. Dopotutto erano loro che avevano bisogno di lui; loro erano venuti a cercarlo; loro lo avevano strappato via alla sua famiglia perché l'oracolo aveva predetto che senza Achille la guerra non sarebbe mai stata vinta. Se desideravano un suo ritorno allora dovevano venire lì a supplicarlo, a chiedergli perdono, a riparare la grave offesa subita e a placare la sua ira.

E allora perché continuava a rimanere nel suo accampamento? Ogni mattina, quando tutti i soldati correvano via ed iniziavano la battaglia, lui rimaneva chiuso al buio nella sua tenda: sentiva le loro voci, le loro grida di battaglia, intuiva le manovre di attacco e di difesa, riusciva anche a capire chi era stato ferito e chi invece non ce l'aveva fatta e tutto questo lo irritava da morire, sentiva la rabbia dentro crescere sempre di più, sentiva l'odio aumentare di minuto in minuto e sentiva le mani prudergli perché  Achille bramava combattere.

A chi vogliamo darla a bere? E' vero che di quella guerra non gliene fregava nulla, ma Achille era nato per combattere e quella era la sua grande occasione, quella che gli avrebbe dato la possibilità di diventare immortale.Lui, che immortale non era, quale altro modo aveva di tramandare il suo nome ai posteri se non grazie alla gloria e alle sue memorabili gesta? Al di là delle parole dell'oracolo, tutti lo sapevano e lui stesso ne era certo: senza di lui la guerra sarebbe stata una disfatta. La gloria era lì, a portata di mano, ma il suo orgoglio, quel maledettissimo orgoglio, lo bloccava, lo teneva fermo.

Per fortuna a consolarlo c'era Patroclo, suo cugino. Patroclo era giovane e bello, e somigliava molto ad Achille: come lui era buono, generoso, sempre a favore dei più deboli e contro i malvagi, ma meno orgoglioso e meno forte. Patroclo sapeva confortare Achille con parole dolci e di stima ed Achille non avrebbe potuto sperare in un compagno migliore. Achille amava Patroclo, non sopportava l'idea che qualcuno potesse fargli del male, tuttavia non riusciva a cedere alle sue parole: "Dimentica tutto e torna a combattere. Lascia perdere Agamennone, mostra a tutti il tuo valore e combatti per te stesso".
No caro Patroclo, tu sei giovane e saggio, ma ci sono offese che non si possono riparare. 

Così Achille passava le sue giornate, a piangere di nascosto come una femminuccia perché voleva combattere ma pretendeva delle scuse. Ma poi accadde l'irreparabile.

Un giorno Patroclo andò da Achille ed in lacrime gli raccontò la brutta piega che stava prendendo la guerra: i troiani, rincuorati dall'assenza di Achille, avanzavano senza paura e uccidevano tanti soldati. Patroclo sapeva che neppure questo avrebbe fatto cambiare idea al cugino, ed è per tale motivo che gli fece una strana proposta. Voleva in prestito la sua armatura in modo da fingersi Achille e spaventare con la sola presenza i nemici. Achille cercò di opporsi, preoccupato per l'incolumità di Patroclo, ma alla fine cedette alle sue suppliche, non prima di averlo sommerso di raccomandazioni.

Il piano funzionò alla perfezione. I troiani, credendo di vedere Achille, scapparono via a gambe levate, senza neppure tentare di combattere, con immensa gioia di  Achille, consolato dall'idea che la sua ipotetica presenza potesse suscitare cotanta paura. Con quell'armatura, forgiata dagli dei, Patroclo si sentiva più forte ed invincibile e, anziché tornare all'accampamento, come stabilito, decise di attaccare. Camminava con passo imperioso e solenne e spazzava via i nemici come fossero delle fastidiose mosche. Nessuno poteva resistere alla sua potenza, l'adrenalina cresceva in lui,  fino a quando si imbatté nel più forte e nel più valoroso principe troiano: Ettore.

Ettore era di gran lunga più forte di Patroclo ma questi, accecato dalla presunzione, non si tirò indietro e lo sfidò a duello. Il principe troiano ebbe la meglio e, credendo di avere ucciso Achille con estrema facilità, cominciò a pregustare l'idea della vittoria finale. Ma non sapeva che in quel momento aveva appena firmato la sua condanna a morte.
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