sabato, marzo 10, 2007

In memoria di me

Un film di Saverio Costanzo. Con Christo Jivkov, Filippo Timi, Marco Baliani, André Hennicke, Fausto Russo Alesi, Alessandro Quattro. Genere Drammatico, colore, 115 minuti. Produzione Italia 2006.

Dopo il successo al festival di Berlino esce in Italia “In memoria di me”, secondo lavoro del regista Saverio Costanzo”, che narra il percorso formativo di un giovane che decide di diventare prete. Andrea è un giovane benestante che nella vita ha sempre avuto tutto quello che voleva, ma non è mai riuscito a trovare quello che realmente desiderava: l’amore. Convinto che non fosse nei beni materiali ma in quelli spirituali la vera essenza dell’amore, decide di abbandonare tutto per cercare se stesso in un convento gesuita nell’isola di San Giorgio a Venezia.

Il film, con i suoi ritmi lentissimi, animati da continui silenzi e da sguardi emblematici, vuole raccontare la vera essenza del percorso formativo di questi giovani: un percorso formativo duro, che serve a testare la veridicità della fede e che passa attraverso gesti quotidiani semplici ma ripetitivi, attraverso preghiere e letture sacre, attraverso meditazioni spesso strazianti e difficili.

La sensazione finale che si ha, al di là della difficoltà oggettiva a seguire un film volutamente lento e pesante, è un senso asfissiante di claustrofobia. Tutto il film si svolge all’interno di questo convento fatto di ambienti essenziali, di piccole stanze quasi prive di arredamento, di giardini senza fiori, di aule spoglie e di sale da pranzo in cui si mangia in totale silenzio. La maggior parte delle scene sono state girate all’interno di un lungo e largo corridoio, alla fine del quale un’ampia finestra da la visione del mondo esterno, fatto di navi da crociera che transitano, di fuochi d’artificio sparati nei giorni di festa e di luci di una città che sembra così lontana ed irraggiungibile. Il senso di claustrofobia viene alimentato da questo senso di vita che scorre all’esterno mentre all’interno rimane tutto uguale in eterno. Nell’unica scena girata fuori dal convento si viene assaliti da un senso di smarrimento e di paura.

Film difficile da apprezzare, anche perché le sensazioni iniziali, al termine della pellicola, sono di quasi totale stordimento a causa del ritmo asfissiantemente lento. Il silenzio meditativo, necessario ai futuri sacerdoti per mettere alla prova la propria fede, finisce per coinvolgere anche lo spettatore che viene indotto a riflettere a sua volta, come se si trovasse nello stesso luogo con i protagonisti. a vivere, giorno per giorno, il ritmo sempre uguale delle giornate. La trama offre pochi spunti e la quasi totale assenza di colpi di scena ci mette di fronte alla verità: la vita religiosa non è semplice ma difficilissima e controversa. In molti, attratti dal desiderio di cambiare vita, pensano di trovare qui la risposta ma, incapaci di adattarsi a questo stile di vita così austero, vivono (e ci fanno vivere) il loro travaglio interiore e il disagio di chi si crede di non valere nulla nella vita.

Non so se consigliarlo o meno. Ma se avete bisogno di spunti di riflessione sulla vita religiosa allora questo film fa per voi.

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1 commenti:

Anonimo ha detto...

Non ho visto personalmente il film, ma almeno due sono gli aspetti che evidenzi nella tua recensione, la (stra)lentezza del film e il disagio del protagonista della storia. Sul primo aspetto, puramente tecnico e per il quale non voglio criticare il regista, preferisco glissare, ma il secondo punto mi spinge a dire la mia su un aspetto (uno dei tanti) che della Chiesa non ho mai condiviso, o quantomeno capito.
Dico io, ma perchè accostare la fede necessariamente alla rinuncia pressochè totale dei beni materiali o comunque di ciò che procuri piaceri diciamo non esclusivamente di spirito???
Si parla tanto del crollo delle vocazioni, in una società troppo schiava del materialismo e di falsi ideali, ma la mia esperienza personale mi ha portato ad avere ben due(!) amici che volevano intraprendere questo cammino e si sono fermati all'ultimo passo prima della soglia proprio perchè si rendevano conto delle rinunce a cui andavano incontro, ma io sfido qualsiasi cattolico, praticante e non, a dimostrarmi che questi ragazzi non sarebbero stati degli ottimi preti, per la loro sapienza di coinvolgere gli altri alla loro attenzione, per la loro generosità, per la loro intelligenza e per la loro fede! questi ragazzi hanno rinunciato a fare quello che forse sanno fare meglio nella vita perchè la Chiesa gli imponeva di rinunciare a se stessi, perchè quelle privazioni li avrebbero annientati, e lentamente ma inesorabilmente nel tempo ridotti a delle semplici voci che si limitano a ripetere quello che scrivono le Sacre scritture, senza avere la forza di leggerci dentro, trovarci dentro la vera essenza della parola di Dio, che ci ha chiesto solo di amarci, senza vincoli, senza tentennamenti, pienamente, perchè se ami non puoi che fare il bene tuo e dell'altro.
E invece no, per loro dovremmo coltivare la fede in un mondo di privazioni, di ipocrite strette di mano domenicali, di cilicio sulla carne (va pure di moda!), di penitenze per ciò che non si è nemmeno commesso...
Cari parrini, cardinali e pastori tedeschi, la gente ha bisogno di punti di riferimento, molto più di quello che la scelleratezza di questi tempi apparentemente mostra, e se questi continueranno a demonizzare il profilattico anzichè esaltare le coscienze ed il buon senso, ben presto gli unici preti che vedremo saranno quelli nelle fiction della tv!
Perdona il mio infervoramento, cara Giusy, ma credo che il tema lo meritasse. Torno ad ascoltare radio Maria...scherzo ;)