E se già questo è stato un compito arduo anche per voi, come potete pensare di assimilare il concetto di geisha con semplicità? Se la definizione di “donna di piacere” per voi sembra la più consona,. allora siete lontani anni luce dalla verità. C’è un passo del libro che spiega il modo di indossare il kimono che a mio modo di vedere chiarisce perfettamente il concetto: il kimono è un abito assai complesso, che si compone di varie parti. Una di queste è l’obi, ovvero una larga cintura che si indossa attorno alla vita. Questa cintura va legata dietro la schiena in un modo particolare, ed è assai difficile per una persona metterla da sola. Dovete figurarvi che c’è gente che di mestiere aiuta le geishe a vestirsi, tanto è complicata la cosa. Al contrario però le prostitute allacciano l’obi davanti, con un nodo più semplice, poiché durante la notte sono costrette più volte a spogliarsi e a rivestirsi.
Ecco spiegato perché la geisha non è una donna di piacere.
Ed allora che cosa è, vi starete chiedendo voi.
Innanzitutto una geisha è un’artista, come viene spiegato in un altro passo importante del libro (e questa volta anche del film). Per diventare geisha occorre studiare parecchio, imparare la danza, la musica, la recitazione, ed è uno studio che è costante nel corso della vita. La geisha indossa kimono bellissimi e costosissimi, è sempre ben truccata e acconciata, ha un portamento elegante, movimenti aggraziati ed intrattiene gli uomini danzando, raccontando storie divertenti, inventando giochi, versando il the o il saké, ammiccando e via discorrendo. Ed esistono uomini che pagano ingenti somme per pregiarsi della loro compagnia. Ma la geisha non si concede agli uomini, giammai deve commettere un simile errore, perché la sua reputazione andrebbe rovinata. Le uniche volte che una geisha si concede sono in occasione del suo mizuage e per il suo danna.
Il mizuage altri non è che la perdita della verginità. In Giappone gli uomini erano disposti (non so se ancora oggi è così) a pagare ingenti somme per ottenere questo privilegio, finendo spesso per aprire delle aste al rilancio. Lo so che sembra strano, ma sono giapponesi!
Il danna invece è l’amante, ovvero l’unico che può avere rapporti sessuali con la sua geisha. Una gesiha può avere pochissimi danna nel corso della sua vita, perché troppi rovinerebbero la sua reputazione. Il danna paga una barca di soldi per avere questo privilegio, ed in più deve dispensare ingenti regali che spesso si traducono in gioielli o kimono.
Ma dietro a questo mondo così sbrilluccichevole, fatto di sorrisi, di ricchezze, di mistero, di poesia e di allegria, si nasconde un altro mondo, una orribile macchina infernale dentro la quale si impastano interessi economici, rivalità spesso atroci, invidie e tanta solitudine. Non si diventa geisha per scelta. Il più delle volte i genitori, costretti a vivere nella miseria, per garantire alla loro figlia un futuro migliore decidono di venderla ad un okiya, ovvero una casa di geishe, dove si vive in uno stato quasi di schiavitù ma dove, dopo un percorso assai duro e difficile, si può raggiungere una posizione tale da dimenticare che cosa è la povertà da cui si è venuti.
Questa, in maniera assai spiccia e semplicistica, è la mia spiegazione. Ovviamente vi invito a vedere il film ma soprattutto a leggere il libro, molto intenso oltre che dettagliato, che vi farà assaporare questo lungo percorso attraverso la storia della piccola Chio, destinata un giorno a diventare la geisha Sayuri. La storia si dipana a cavallo della seconda guerra mondiale e mostra in maniera chiara non soltanto la condizione della geisha, ma anche la dolorosa ed irrefrenabile corsa dei giapponesi verso l’occidentalizzazione. Mannaggia alla globalizzazione!!!
Tags: Memorie di una geisha
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